Frombolieri, la razza estinta dei cannibali del parquet

«Date la palla a Michael e toglietevi dai piedi». Ok, il Michael in questione era «his airness» Jordan, e in panchina sedeva il coach zen per eccellenza, Phil Jackson. Ma il quesito nasce comunque: a chi dare la palla quando c'è da segnare? Eccoci a parlare di una specie oramai estinta: il fromboliere. Due note di antropologia dei canestri: il fromboliere, di norma, vive nei pressi dell'arco da tre punti, si accoppia (ma lui ne farebbe a meno) coi difensori più temibili della squadra avversaria e tira. Venti, anche trenta volte a partita. E segna. Anzi, segnava. La graduatoria dei cannonieri della serie A di quest'anno, vede in testa il casertano Andre Smith, con... 18 punti di media. Ma stiamo scherzando? Meglio allora andare a spasso nel basket che fu: vi ricordate Oscar Schmidt, Drazen «Praja» Dalipa-gic, Mike Mitchell, Dan Caldi/veli? O, per restare in ambito tricolore, Mario Boni, Andrea Niccolai, Carlton Myers, Antonello Riva, top scorer italiano di sempre? Con loro non si scherzava: datemi la palla, di mestiere faccio canestro. Tanto ai rimbalzi ci pensa il lungo americano (gli stranieri erano due, e dovevano segnare o spazzare i tabelloni) a difendere, il Gallinari (padre) di turno. Che oggi gli allenatori, specie nel Belpaese, vogliano altro lo si vede subito. Pensiamo alla fatale gara 4 di Eurolega, quella con cui Siena ha detto «ciao ciao» alle speranze di Final Four. Pur al netto delle molte assenze, è nuovamente emerso come coach Pianigiani non abbia un terminale offensivo da 25 punti nelle mani (o meglio, avrebbe Aradori... ma questa è un'altra storia), preferendo estenuanti rotazioni del quintetto. Non è certo passato un secolo da quando si costruivano stagioni intere su giocatori abituati a sopportare il peso del tiro decisivo, delle difese adeguate e soffocanti, della sindrome del fare punti. Uno dei più godu-riosi esempi è stato il brasiliano Oscar Schmidt, detto «mano santa» nel suo paese e, soprattutto, profeta del trentello sotto i cieli di Caserta, prima, e di Pavia poi. Raramente s'è vista tanta facilità nello sbrindellare difese e retine. Epica una finale di Coppa delle Coppe in cui ne piazzò 44, battuto dall'inarrivabile Drazen Ferrovie, che ritenne opportuno se- guaine 62. Un attimo, 62-44... ci sono match, oggi, che finiscono così. Qualcuno potrebbe contestare che Caserta vinse il tricolore proprio dopo aver ceduto Oscar. E Bob Morse, che a medie realizzative eccelse vinse scudetti e coppe a ripetizione con Varese? È ovvio che un realizzatore doc emerge con più facilità in contesti con minor talento, ma viene il sospetto che l'assenza dei nostri amici frombolieri sia frutto di scelte tecniche, che frenano fin dalle giovanili i ragazzi con senso del canestro. La fissazione per atleti duttili, tatticamente flessibili, che sanno fare di tutto un po', ha progressivamente eroso il consenso verso quei cannibali della palla a spicchi, che passano solo alle feste comandate. E pure malvolentieri. Ma che male vi hanno fatto, al punto da trasformare in un delitto il segnare 30 punti a partita? Come l'avrebbe presa Oscar? Avrebbe tirato. Era quello il suo mestiere.
Rosario Rampulla