L'occhio attento di Marco Calvani: l'essenza di essere coach...

13.03.2011 12:26 di  Enrico Campana   vedi letture
Fonte: Momento Basket

Il ruolo dell'allenatore non può certo essere quello di vivere le cose diversamente da quello che deve essere il pensiero dell'allenatore. Una filosofia che risponde a connotati estremamente chiari che vanno in una sola direzione: la squadra. 11 coach pensiero deve bandire quel ragionare da presidente, dirigente, giornalista, appassionato, tifoso e giocatore stesso. La forma mentis "coacciana" può e deve avere i contenuti solamente del coach pensiero. Non è facile, perché sei continuamente bombardato da miliardi di aspetti che ovviamente minano quello che avresti in mente. Quando ti dai conto di quello che fai e stai facendo o di quello che hai fatto e penserai di farlo? Sempre. In ogni momento devi registrare la sintonia della tua frequenza su quello che sono gli sbalzi che costantemente ti mettono fuori sintonia. E un lavoro massacrante, devi "combattere" con tutti perché ognuno vuole darti la sua chiave di lettura. Credo che una delle qualità di un allenatore sia quella di ascoltare, vedere e fare tesoro di tutte quelle informazioni, pensieri, vicende che accadono attorno al "mister" del basket. Ma rimane fermo un principio: devi avere una tua idea, un tuo cliché, un tuo pensiero che ti dà i binari giusti, i tuoi, sui quali indirizzare il tuo percorso stagionale. Quando inizi una stagione sportiva, c'è sempre un segreto di fondo per farla diventare una stagione vincente o perdente: la costituzione della squadra, la chimica nell'assemblarla. E' una delle componenti fondamentali per iniziare la stagione nel modo giusto. Certo che la sinergia coach-società diventa poi preponderante per far si che le cose vadano nella direzione giusta, che tutti sappiano cosa e come fare il loro lavoro, il ruolo che occupano all'interno di un meccanismo importante e complicato fatto di 15-20 elementi tra squadra staff vari e società. Una piccola azienda, sportiva, che muove cifre più disparate ma che già a livello di A Dilettanti può scrivere budget da un milione di euro ed anche più. Ma un imprenditore la sua azienda da un milione di euro come la farebbe funzionare? Si prenderebbe, oltre che gli operai, uno due professionisti per i settori che ritiene più importanti da coprire? Certo che si. Ma poi molto è nelle nostre mani, in quello che quotidianamente siamo e facciamo in palestra o in ufficio. Pensare che Ettore Messina ha dato le dimissioni dal Real Madrid non può lasciare noi coach indifferenti, ci deve far riflettere. Cari colleghi, parliamo di Messina, del Real Madrid, di una squadra che è seconda in classifica dietro solo al Barcellona, con 19 vittorie e 5 sconfitte, una sola sconfitta in più del Barcellona, che è lanciata per una Final Four di Eurolega, che ha partecipato all'ultima Copa del Rey, insomma di una squadra che non era certo nel centro o fondo della classifica. Ma tanto è. E forse quello che ha pesato di più potrebbe essere la continua competizione con il Barcellona che ad oggi la vede dietro ai catalani. Quello che ha colpito di Messina è stato un tirarsi indietro, mai accaduto nella sua lunghissima carriera, per cercare di dare un senso di unione, coesione ad un gruppo squadra che, a suo dire, non manifestava come lui intendeva. Stiamo parlando di un livello altissimo, di una realtà alla maggior parte di noi più che lontana, lontanissima. Ma anche da questa esperienza dobbiamo trarre le nostre indicazioni. Penso alle mie esperienze ovviamente, penso a quello che ho vissuto quando ci sono stati risultati e quando non ce ne sono stati. La sintesi è sempre la stessa: non si era fenomeni quando si vinceva, non si era dei brocchi quando si perdeva. Ricordo sempre quello che mi disse un ottimo allenatore tanti anni fa: fai la squadra più forte che puoi, non stare lì a pensare di valorizzare questo o quello, non pensare a progetti quanto altro, nessuno o quasi nessun club ti riconoscerà quello che hai fatto se non vinci... Parole sante, è purtroppo vere. In questo ginepraio di difficoltà, siamo sempre l'anello più debole della catena. Vi faccio qualche esempio. Se un giocatore non si trova bene nel club o squadra giusta, chiama il procuratore e gli dice che vuole cambiare. E mediamente cambia. Se la squadra non gira nel modo giusto, qualche dirigente va a sondare anche dai giocatori quale è il loro umore verso il coach... e può farlo in tanti modi! Se un allenatore non si trova bene nel club o squadra, dà le dimissioni e non allena fino alla fine della stagione non percependo neanche un centesimo, oppure viene esonerato e sta a casa ad aspettare la stagione successiva. Per non parlare di quello che sono i contratti che firmiamo noi allenatori a fronte di quelli che le società firmano ai giocatori... Un meccanismo dove le responsabilità più grandi poggiano sempre sulle nostre spalle ma i "benefici", per tante responsabilità, non ci sono quasi mai. E questo, scusate, dipende molto da noi. Spesso dipende dal nostro svenderci, dall'accettare situazioni capestro pur di mettere il fondoschiena in questo o quel posto. Pensiamoci.