Cantù: quelli che al PalaDesio c’erano, quelli che ci sono e quelli che forse ci saranno

I brianzoli perdono la sfida con Pesaro, ma pur tra tante incertezze rimane aperta quella per la sopravvivenza del club
20.11.2018 00:53 di  Paolo Corio  Twitter:    vedi letture
Tassone e capitan Udanoh
Tassone e capitan Udanoh
© foto di pallacanestrocantu.com

Non ci sono proprio tutti, ma ce ne sono 4.122 al PalaDesio per sostenere Cantù nella sfida contro Pesaro, ma anche e soprattutto contro gli spettri di un drammatico default. Ci sono quelli che scattano in piedi non appena la curva li invita a farlo “per la nostra storia” e quelli (invitati più o meno giovani e più o meno illustri della primissima fila) che non si alzano nemmeno all’inno nazionale. Ci sono quelli che sono lì “anche se sembra di partecipare a un funerale”, quelli che “almeno al derby con Milano del 9 dicembre dobbiamo arrivarci” e quelli che “sono sicuro che non può finire così”. Ci sono gli Eagles, che dopo aver chiamato tutti a raccolta non smettono di cantare per un secondo come del resto hanno sempre fatto, e ci sono gli ultras dall’altra parte che – come già quelli di Venezia – li invitano a non mollare. 

Poi, ovviamente, ci sono i giocatori sul parquet: quelli di Pesaro, che non fanno sconti e portano a casa per 90-87 una partita a lungo dominata nella prima parte e poi riacciuffata nella seconda con le prodezze di McCree (31 punti in 39’) e Blackmon (27 sempre in 39’, più 5 assist). E ci sono onorevolmente anche quelli di Cantù, chiamati come i loro predecessori della stagione 2017-2018 a dimostrare che c’è ancora chi gioca non solo per soldi, ma anche per dignità. C’è per esempio Tony Mitchell, che gli sciacalli del mercato danno già su un treno per una destinazione dai bonifici certi, ma che in realtà non si è allenato perché nella notte ha perso l’amatissima nonna: per lui non è serata (2/7 da due, 1/7 da oltre l’arco), ma nessuno potrà mai rinfacciargli di non essersi messo a disposizione della squadra (7 assist) o di essersi tirato indietro uno solo dei 34 minuti in cui è rimasto sul parquet con il cuore spezzato. C’è capitan Udanoh, 24 punti e 13 rimbalzi in 35’, che è encomiabile nel sostenere i compagni e bravissimo a gestire i 3 falli già sul groppone al 13° minuto. C’è Jefferson, che a sua volta in una serata “no” (5/15, per 11 punti e 9 rimbalzi in 32’) non esita a tuffarsi sui banchi della stampa per dare a Udanoh la schiacciata del temporaneo 55-51 e lotta comunque sino alla sirena. C’è Gaines, top scorer biancoblu con 26 punti in 32’, che sì fallisce a 15” la tripla la tripla del potenziale pareggio a quota 87, ma in precedenza tiene in vita Cantù con un testardo mix di triple e penetrazioni. C’è anche Tassone, gettato nella mischia per 25’ per un tabellino che racconta anche di 5 punti, 1 assist e 3 recuperi. E infine c’è coach Pashutin, altro capitano di un vascello nella burrasca come già accaduto a Marco Sodini: non ha l’eloquio di quest’ultimo, ma ha la faccia, il curriculum e la determinazione per cui il suo “i veri uomini si vedono in momenti come questi” risulta altrettanto convincente delle diaboliche metafore del suo predecessore.

Sulle maglie, invece, c’è ancora quel Red October che ormai ricorda purtroppo solo il “rosso” lasciato dal dimissionario patron Gerasimenko. E’ quella l’indesiderata eredità che accompagna la cessione delle azioni a costo zero del club a chiunque voglia farsene carico. L’obiettivo (o il sogno, a seconda di come la si guardi) è quello di reperire uno sponsor-benefattore che fornisca gli almeno 500 mila euro necessari a concludere la stagione, dopo di che si cercherà un nuovo proprietario. La realtà parla però di una situazione in assoluto stand-by, con i giocatori più che disponibili ma disposti ad attendere al massimo per due-tre settimane, e un gruppo di imprenditori locali impegnato a tamponare la falla con il rischio di poter però solo riuscire a mettere il famoso dito nel buco della diga. Dopo la trasferta a Trieste e la pausa per la Nazionale, il prossimo appuntamento al PalaDesio è fissato proprio per il derby contro Milano del 9 dicembre. Non disputarlo sarebbe una bestemmia per tutto il basket italiano, forse anche per Sant’Ambrogio.

Paolo Corio