L’impresa di Varese e quella di Caserta: la storia dell’Olimpia in semifinale

L’impresa di Varese e quella di Caserta: la storia dell’Olimpia in semifinale
© foto di SAVINO PAOLELLA

L’Olimpia gioca una semifinale scudetto per la 32 volta nella sua storia, l’undicesima consecutiva oppure la numero 17 negli ultimi 18 anni. Nei 31 precedenti vanta 22 successi e nove sconfitte. Le avversarie più frequenti in semifinale sono state Cantù, affrontata cinque volte con 2-3 di record, e Sassari (4-1); poi Torino (3-0), Pesaro (3-0) e Virtus Bologna (1-2). Due volte l’Olimpia ha affrontato Varese, Venezia e Brescia (2-0). Una volta vincendo ha giocato contro Roma, Treviso, Biella, Caserta; una volta perdendo ha incontrato Siena e Trento. Ecco i momenti più significativi di questa storia.

L’IMPRESA DI VARESE – Nel 1979 il Billy di Dan Peterson realizzò la prima grande impresa del suo ciclo eliminando la grande Emerson Varese di Bob Morse e Dino Meneghin vincendo Gara 1 e Gara 3 a Masnago dopo aver perso a San Siro la seconda partita. L’Olimpia vinse 87-84 lo spareggio da sfavorita con 35 punti di Mike Sylvester e 26 di CJ Kupec. Ma la grandezza di quell’impresa è un’altra: Coach Peterson utilizzò il quintetto per 40 minuti su 40, senza effettuare cambi. Tutti e cinque finirono con quattro falli a carico ma nessuno uscì per cinque falli. I fantastici cinque erano Mike D’Antoni, Mike Sylvester, CJ Kupec, Vittorio Gallinari e Vittorio Ferracini. Gallinari aveva 21 anni. L’Olimpia perse poi la finale contro Bologna, la sua prima nell’era dei playoff.

IL GIALLO DELLA MONETINA – Nell’anno dell’ultimo scudetto dell’era D’Antoni, l’Olimpia si qualificò per la finale battendo Pesaro 2-0 pur perdendo Gara 1 nell’hangar di Viale dei Partigiani 91-78. Ma l’esito della gara venne ribaltato a tavolino dal Giudice Sportivo perché nel primo tempo, colpito da una monetina, Dino Meneghin abbandonò il campo e venne trasferito al Pronto Soccorso dove la prognosi fu di cinque giorni. L’Olimpia vinse Gara 2 in casa 95-92 con 25 punti di Riccardo Pittis accedendo alla finale con Livorno vinta poi in cinque partite.

LA SORPRESA DI TREVISO – Nel primo anno con il marchio AJ stampato sul petto, l’Olimpia conquistò una finale clamorosa espugnando 61-57 il Palaverde di Treviso. La Benetton aveva vinto la regular season ed era la squadra di Ramunas Siskauskas, Marcus Goree, Massimo Bulleri e del giovane Andrea Bargnani. Fu lui sul più due Milano a sbagliare il tiro dal pareggio. Aleksandar Djordjevic dalla lunetta firmò il più quattro portando la squadra allenata da Lino Lardo alla battaglia con la Fortitudo (che sarebbe stata persa sul tiro da tre di Ruben Douglas convalidato dall’instant-replay). Era l’Olimpia di Jerry McCullough (segnò 21 punti quella sera), Dante Calabria, dell’asso volante James Singleton e di Joseph Blair.

LA RISPOSTA DI CASERTA – Nella semifinale del 2010 l’Olimpia di Piero Bucchi ritrovò una vecchia avversaria in un anno di grande ispirazione, con Pino Sacripanti in panchina: la Juve Caserta. Con un quintetto formidabile, con Fabio Di Bella, Ebi Ere, Tim Bowers, Jumaine Jones e Andrea Michelori o Claude Marquis (dalla panchina usciva Aaron Doornekamp), Caserta arrivò seconda in regular season. Milano espugnò il Pala Maggiò in Gara 1 ma la Juve si riappropriò del fattore campo vincendo Gara 3 con un canestro di Jones. L’Olimpia si riprese tutto imponendosi 65-59 in una battaglia difensiva in Gara 5 in cui Mason Rocca ebbe 14 e 11 rimbalzi.

IL DOMINIO DI SASSARI – Nel 2013/14, l’Olimpia avrebbe vinto lo scudetto in sette gare contro Siena, ma in semifinale – anche quella al meglio delle sette – dovette debellare la resistenza di Sassari in una sfida rocambolesca. Infatti dopo la vittoria di Milano in Gara 1, il fattore campo saltò per aria cinque volte su cinque. La Dinamo vinse Gara 2 al Forum ma l’Olimpia trascinata da un monumentale Alessandro Gentile (40 punti in due gare, Keith Langford ne fece 33) vinse sia Gara 3 al supplementare che Gara 4 tenendo l’avversario a 56 punti. Ma quando la serie sembrava finita, Sassari vinse Gara 5 a Milano. Sull’orlo del disastro, l’Olimpia rispose con una gara 6 strepitosa, vinta 95-76 con 24 punti di Keith Langford.

IL RISCHIO DI TORINO – L’Olimpia irresistibile della stagione precedente, quella di Joe Barry Carroll, non esisteva più. Carroll era naturalmente tornato ai Golden State Warriors. La novità dell’Olimpia 1985/86 si chiamava Cedric Henderson. Aveva lasciato il college dopo un solo anno, ma si era dichiarato per i draft NBA in modo irregolare. Non poteva giocare e venne in Europa. Aveva 19 anni. Dopo poche settimane, venne tagliato. Alla vigilia della stagione l’Olimpia lo riprese con nuove condizioni. E Cedric Henderson gradualmente diventò un fattore decisivo. Nei playoff fu sensazionale. Ma il Simac che un anno prima aveva passeggiato sulle avversarie si trovò con le spalle al muro nella semifinale con Torino. L’Auxilium, diretta da Dido Guerrieri, scuola Simmenthal anche lui, era una squadra fortissima. Non aveva più Pino Brumatti e Meo Sacchetti, ma aveva Carlo Della Valle, Giampiero Savio, Renzo Vecchiato, Ricky Morandotti e due americani straordinari, Scott May e Mike Bantom. Di più, Torino vinse al Palalido e per restare viva l’Olimpia doveva vincere al Parco Ruffini. Cedric Henderson fu decisivo, con sette punti e 11 rimbalzi; Premier fu il miglior realizzatore con 27 punti, Russ Schoene ne aggiunse 23.