Profili senesi: Shaun Stonerook

In città si era diffusa la notizia, venerdì mattina, che Shaun Stonerook si fosse tagliata la chioma riccioluta per onorare la scommessa vinta sulla insperata qualificazione alle Final Four, fatta dopo la choccante gara 1 ad Atene con i suoi compagni di squadra. Ovviamente venerdì era il primo aprile… “I miei capelli sono sempre meno … li ho fatti allungare in Belgio, lo fece un mio compagno e mi sembrò divertente. Sono diventati sempre più lunghi, adesso vanno indietro e non so quanto ancora potrò tenerli” così ha raccontato recentemente il capitano della Montepaschi in una intervista sul sito della società. “Non curo molto il mio look, spesso ho la barba lunga” il suo profilo è inconfondibile, come la sua presenza in campo. Paradossalmente credo che quella di quest’anno sia la formazione della Mens Sana più forte in assoluto proprio per aver dimostrato di poter stare in campo alla grande anche con Shaun in panchina: nella semifinale Eurolega di Madrid uno dei fattori del recupero del Maccabi (anche se a Siena danno sempre molto la colpa al fallo subito da Lavrinovic in contropiede e fischiato al contrario dall’arbitro che restituì la palla a Tel Aviv) fu sicuramente la stanchezza di Stonerook che rimase sul parquet 38 dei 40 minuti disponibili, e questo è un lusso che nel basket contemporaneo, estremamente fisico e dispendioso, nessuna squadra si può permettere.
Il ruolo di Stonerook in campo quest’anno si è fatto ancora più delicato. Il capitano, insieme a Carraretto e Ress, è l’anello di congiunzione tra un ciclo che ha stravinto in Italia e raggiunto una prestigiosa posizione in Europa e il nuovo roster 2010/2011 che si è immediatamente imposto come vincente nel Bel Paese. I rumours estivi evidenziavano le nuove grandi Roma e Milano fossero in grado di colmare il gap con Siena, senza tener di conto che nella città del Palio era arrivato un certo McCalebb, che aveva fatto sognare tutti i veri intenditori dell’Eurolega appena finita, il miglior giocatore italiano della stagione Pietro Aradori, un lungo acerbo ma di gran presenza come Rakovic. E il ritorno di Kaukenas, integro e determinato a dimostrare prima a se stesso che al mondo che la parentesi di Madrid era solo un incidente di percorso. Stonerook detta le posizioni in campo ai compagni, ordina gli adeguamenti, non disdegna il tocco duro come il passaggio di fino, come direbbero i calciofili. Realizza in campo le complesse idee di gioco di Pianigiani, che mirabilmente spiega Luca Banchi negli intensi allenamenti, anche di questi giorni.
Il tiro da tre è la croce e la delizia di Stonerook. In gradinata aspettano sovente il momento in cui la squadra avversaria concederà il tentativo di bomba al 4 mensanino, vuoi per effetto di esecuzione dello schema, vuoi per gentile concessione ritenendolo il più debole al tiro. Spesso il capitano “rifiuta” il tiro, anche se buono, ma quando lo prende e segna per il pubblico senese vuol dire che la partita è segnata e per gli avversari non c’è niente da fare: perderanno. Così gara 4 di giovedì sera: il primo tiro biancoverde è stata proprio la tripla in mano a Shaun, che prima, nonostante lo spazio regalatogli, ha eseguito un passaggio, poi ha riavuta la palla indietro, mantenendo sempre un bel margine di distanza dal difensore, tempo quasi scaduto e spalle al muro. Tiro e canestro, subito imitato da una seconda bomba a segno dopo pochi minuti: per tanti è stato il segno beneaugurante della vittoria. In 10 anni di serie A italiana e373 partite giocate, l’atleta nativo di St. Buckeyes (Ohio) ha tirato 1005 volte da tre, realizzando 366 canestri. In Eurolega invece in 73 gare disputate in quattro campionati sono 76 su 227 tentativi. Cifre importanti per un giocatore che preferisce far segnare i compagni piuttosto che ergersi a protagonista (anche se da due segna in Italia con il 60,4% e in Europa con il 53%) .
Nessuno ci ha mai fatto caso, ma all’inizio di ogni gara Stonerook entra in campo, saluta avversari e arbitri, poi si mette su un lato, alla sinistra del compagno che giocherà la palla a due vicino al cerchio di centrocampo e si riallaccia le scarpe. Un piccolo gesto scaramantico per un giocatore di grande sostanza, privo di fronzoli e che crede nel lavoro. Ama il gioco, inteso come sport e azzardo (due passioni: golf e poker: “chissà perché il banco vince sempre!”), passa le sue vacanze a Las Vegas “un posto pieno di divertimenti in cui puoi non pensare al basket”, anche attorniato da amici e colleghi cestisti. Epiche le sfide al tiro da tre con Hawkins lo scorso anno in allenamento, sicuramente condite da qualche “scommessa” tra i due.
“Siena è piccola, ci fa stare concentrati sul basket perché non ci sono grosse distrazioni” afferma Stoney “E’ diversa dalle grandi città come Milano, e questo è importante. Stai qua per giocare e non per divertirti. Siena è diversa anche da Cantù: Milano e Como sono vicine. Qui c’è Firenze, ma non è lo stesso”. Forse per questo, aggiustato il palmarès, David Hawkins è ritornato in tutta fretta a Milano… “In Italia la vita è più rilassante, diciamo più lenta rispetto agli States. Credo che la qualità della vita sia superiore in Italia, ma il mio paese è l’America, lì tornerò a vivere una volta smesso con la pallacanestro. Forse mischiando i due paesi si potrebbe inventare un perfect place, un posto perfetto, dove vivere”.