Mario Blasone: "La Hall of Fame? Mi vergogno..."

(Enrico Campana) - Premessa: nulla di polemico con i giurati, nulla che sia in relazione con l’iniziativa di Dan Peterson di fare “campagna elettorale” per se stesso (http://www.pianetabasket.com/?action=read&idnotizia=41947) che sembra sia stata sollecitata direttamente da chi in Fip ha il compito di promuovere il concorso. Eventualmente ancora in fase di decollo sebbene sia stato lanciato ormai da diversi anni.
In partenza per tornare in Persia, fra i paesi stranieri che gli chiede più assiduamente i suoi servigi per istruire gli allenatori e migliorare la squadra giovanile e appena terminato di scrivere (in inglese) un libro di tecnica (sperimentale) di cui parliamo più sotto, Mario Blasone è incredulo alla notizia di essere in lizza per l’ingresso nella Hall of Fame.
Per sua fortuna il tecnico più vincente fra le nazionali giovanili nella storia del basket italiano al quale si deve l’ultimo oro addirittura 21 anni fa e l’argento mondiale di Edmonton quando la sua squadra si trovò in vantaggio contro giocatori che sarebbero diventati star della NBA, vive in un mondo sospeso. E’ quasi naif fuori dai pettegolezzi e dalla camarille. Oltre al basket, vissuto anche come studioso, si appassiona per la caccia (va spesso in America con Bobby Knight, il bad coach per antonomasia, nelle paludi dove si rifugia il grouse, la nostra beccaccia) e la pittura (aspettiamo una sua personale) .
Quando viene a sapere che il suo nome in questi giorni circola e figura in calce sul modulo di votazione fra i tre allenatori candidati (il terzo è Settimio Pagnini) per l’ingresso nella Hall of Fame 2012, Blasone si schermisce. E prega per prima cosa di scrivere a chiare lettere che mesi fa aveva telefonato in Fila Massimo Blasetti (si tratta dell’ex segretario della Fip che ha il compito di curare l’organizzazione e la selezione delle nomination) chiedendo esplicitamente di non essere disponibile a essere votato per la Hall of Fame.
“Credevo proprio che il mio nome fosse stato cancellato. Perché non merito la Hall of Fame ma la Hall of Shame (la galleria della vergogna…) per quel che feci ad Edmonton con l’arbitro Crawley “
Per difendere la sua squadra dall’arbitraggio vergognoso del canadese quando l’Italia schizzò avanti di 19 punti, cavò dalla tasca le chiavi di casa e il portafogli e li offrì al referee canadese dicendogli: “Prendi pure anche questi!...”.
“ Io non c’entro con i premi, per me non hanno valore i premi di quando sei vecchio e sono importanti le cose che faccio oggi e che farò domani, e in quelle che ho fatto ieri. Mi elettrizza molto più fare un clinic a Palmanova o in Persia o in Finlandia o in Egitto”.
Blasone è stato il consulente-scout della Virtus Bologna in questi anni, ha lavorato bene, ma Sabatini ha chiuso questa stagione la collaborazione. Questo era l’unico aggancio alla serie A.
Girando il mondo e coinvolto in molti clinic, spesso anche come auditore per rendersi conto dell’evoluzione dell’insegnamento come riflesso sul gioco, il coach udinese si è accorto che il basket sta avviando a una standardizzazione che progredendo nel processo di sedimentazione ha via via prodotto un invecchiamento dei concetti e quindi un conseguente abbassamento del livello del gioco. E la causa principale, secondo il Mario dalla erre arrotata, la staticità nell’utilizzo della figura centrale del gioco, il centro, sempre più alto e dotato ma praticamente costretto ancora a giocare faccia ai compagni e spalle al canestro. Per questo ha scritto un libro di 70 pagine che ha inviato all’attenzione della Fip per la pubblicazione.
“Oggi - spiega - il pivot può vedere solo il 30 o il 40 per cento del canestro, il frutto dei 40 anni della mia esperienza tecnica fatta in palestra e anche nell’insegnamento del gioco, mi ha fatto capire che bisogna cambiare. E fra le 5 cose che tratto in questo libro, credo sia importantissima per uno sviluppo sempre più semplice del gioco che il “cinque” (in gergo il numero del centro, nda) e sono convinto che facendolo giocare nella mia posizione avrà il 100 per cento della visuale, e questo cambierà il futuro del ruolo e del basket”
Chiaramente questa dichiarazione fa drizzare le orecchie per la curiosità a chi insegna basket, lo studia, lo gioca (soprattutto in quel ruolo), ma Blasone rimanda il resto della storia all’uscita del libro. Dello stesso autore, tanto per capire la dimensione internazionale del personaggio, è stato pubblicato un volume di tecnica in arabo con un titolo caro alla cultura latina: “Au Caesar, aut nullus”. Un mezzo per raccontarsi come lavora da uomo di panchina, ma anche un messaggio ai colleghi: senza personalità non c’è sperimentazione, e quando sei una nullità nessuno ti ascolta e ti segue.
encampana@alice.it
(C) Riproduzione Riservata