'Una battuta e li stoppo tutti': alla scoperta di Riccardo Cervi

Su ‘Sport Week’, il settimanale della Gazzetta dello Sport, Fabrizio Salvio è andato alla scoperta di Riccardo Cervi, pivot della Grissin Bon Reggio Emilia, e della sua capacità non solo nelle stoppate ma anche nei giochi di parole di cui è diventato un vero maestro. “Così dimostro che quelli della mia statura non sono dei bamboccioni – spiega Cervi: Ecco il testo integrale della intervista. “Prima di una partita non mi lavo mai: mi oiace giocare sporco. Attenti quando siete al mare: può venirvi la scogliosi. Mi sono accorto che di notte, a Genova, c'è buio pesto. Mio padre in auto non può alzare o abbassare la radio: è una monovolume. L'altro giorno in palestra è caduto un cameraman: "Ti sei ripreso?", gli ho chiesto. Sai perché gli americani vincono sempre tante medaglie alle Olimpiadi? Perché sono Stati Uniti. Il giorno che vorrete comprarvi una cintura e vi accorgerete che costa troppo, non preoccupatevi: è il carovita...». Basta, per carità. Cervi, perché? «Perché mi è sempre piaciuto, dai tempi del liceo. Ricordo che, prima delle verifiche in classe, attaccavo fuori sulla porta dell'aula dei fogli con le mie battute. Nel silenzio generale, qualcuno passava in corridoio e scoppiava a ridere». E i prof? «Scattavano dalla cattedra e mandavano via il disturbatore, insultandolo. Poi rientravano e insultavano me». Re vogliamo raccontare Riccardo Cervi, pivot della Grissin Bon Reggio Emilia, dobbiamo per forza partire da qui. Perché lui è prima questo - un patologico, inguaribile, ossessivo amante delle freddure e dei giochi di parole - e solo dopo un centro di 214 centimetri (!), giovane e con la mano educata, e Dio sa quanto il basket italiano ne avesse bisogno. Perciò, per presentare il miglior stoppatore della serie A (2 di media a partita) in un campionato zeppo di neri americani, non si può che iniziare dal suo sogno nel cassetto: «Arrivare il più in alto possibile sparando più cazzate possibili». Non si stufa mai? «A me viene naturale. Non so, forse questa vocazione dipende anche dall'idea che di solito la gente ha di quel li alti come me. come di bamboccioni un po' ritardati. Perciò mi piace stupire, far vedere che la mia testa gira a mille». La cosa più stupida che le hanno detto riguardo alla statura? «Beh, mi sono sentito dire: "Sei così alto perché giochi a basket". No, gioco a basket perché sono così alto!». A proposito di luoghi comuni: accanto a lei le ragazze si sentono a disagio o si avvicinano speranzose che anche altre parti del corpo siano oversize? «Si riferisce alle dimensioni del mio cervello, naturalmente... Sul serio: le ragazze sono incuriosite da uno come me». La cosa più divertente nell'essere alto 214 centimetri? «Questa è bella... È chiaro, sei sempre al centro dell'attenzione. Nell'adolescenza può darti fastidio, e per me in parte è stato così, poi maturando ti abitui. Nel mio caso, il fatto di praticare uno sport nel quale un'altezza straordinaria è valutata come un pregio mi ha aiutato. È come se la mia statura rompesse quel muro che troppe volte c'è tra le persone. Chi mi avvicina si sente giustificato, per così dire, ad avere nei miei confronti un approccio diretto, amichevole. Mi piace». Qualcuno ha mai osato provare a fare a botte con lei? «Mai. Succede che vado a ballare, nella confusione urto qualcuno senza volerlo, quello si gira di scatto come per dirmi qualcosa, poi mi guarda e sta zitto...». Cosa invidia invece a uno alto 1 e 80? «La comodità nello stare seduto in aereo o al cinema. Col letto non c'è problema: a casa ho ovviamente quello su misura, in albergo metto la sedia infondo oppure, se è matrimoniale, vado di ipotenusa». Suona una Fender Stratocaster, la chitarra di Mark Knopfler, l'ex leader dei Dire Straits. «Scriva di David Gilmour dei Pink Floyd, die è meglio. Knopfler è un maledetto, suona con le dita e non col plettro». Quindi niente riff di Sultans of Swing? «Giusto quello, ma non viene mai uguale. Aspetti: so fare anche Romeo andjulìet». Di Gilmour, invece? «Beh.Another Brick in the Wall praticamente tutta. Poi, quando mi ci sono messo sul serio, anche Shìne Ori Tou Crazy Diamond. Più di tutte, Comfortably Numb. Adesso mi riesce bene Killing in the Name dei Rage Against the Machine. L'ascolto anche prima delle partite. Dopo, invece, che si vinca o si perda, preferisco musica più soft». La prima partitella da bambino? «Boh. Ricordo dove: al Campetto vicino alla mia scuola media, dove mi avete fotografato per questo servizio. Avevo 12 anni ed è stato allora che ho scoperto il basket. Prima avevo fatto calcio perché ci giocava il 90 per cento dei ragazzi che conoscevo. Tre anni d a portiere, ma non ero molto portato. Ilo mollato per questo e perché nel basket ho trovato un gruppo di amici più unito, forse più vero. La mia prima società è stata il Basket 2000, poi sono entrato nella Pallacanestro Reggiana». La stoppata che le ha dato più gusto? «A Mozgov, il centro dei Denver Nuggets, quest'estate in Nazionale. Gliene ho rifilate due, mi sa». Quella subita che ha sofferto di più? «L'ho rimossa». Suo padre, che a 47 anni gioca a basket nelle categorie minori, dice che le manca un po' di cattiveria. «Sto allenando anche quella. L'importante è imparare ad accendersi in allenamento, poi diventa un'abitudine». Ma cosa vuol dire per un centro avere cattiveria? «Mica tirare gomitate a destra e a sinistra, ma difendere la palla con forza». Lei tira i liberi col 56,5%: perché quasi tutti i centri, anche nella Nba, hanno una percentuale tanto bassa? «Me l'hanno spiegato. Dipende dalla lunghezza delle braccia. Poiché quelli che giocano nel mio ruolo hanno leve fuori misura, ogni errore al tiro aumenta in proporzione. Mi spiego: se io rilascio la palla una frazione di secondo più tardi del dovuto, è come se, in realtà, l'abbia fatto con 4 secondi di ritardo». Il pivot più difficile da marcare? «Samuels, dell'Olimpia Milano». Il più cattivo? «Mmm... Se faccio il nome, quando lo incontro di nuovo sono guai. Facciamo così: le dico il primo che ho incontrato che menava come lui fabbro. James Thomas, in LegaDue». Se si arrabbia può sempre dire che era una battuta...