Al Don Bosco con Sodini e Tassone, la testimonianza di vita di Jeremy Chappell

Al Don Bosco con Sodini e Tassone, la testimonianza di vita di Jeremy Chappell

19 marzo 2018

A SCUOLA DAI SALESIANI CON TASSONE, CHAPPELL E PROF. SODINI

 

 

Questa mattina la Pallacanestro Cantù ha fatto visita agli studenti delle "Opere Sociali Don Bosco" di Sesto San Giovanni. Cinque classi presenti in aula magna per un totale di oltre 150 ragazzi, tutti all’ascolto di coach Marco Sodini, professore per un giorno. In cattedra insieme al capo allenatore biancoblù anche il play/guardia Maurizio Tassone e capitan Jeremy Chappell. I giocatori della Red October hanno raccontato le proprie esperienze sportive, soffermandosi sia sui sacrifici sportivi che – soprattutto – scolastici.

A rompere il ghiaccio in aula ci ha pensato coach Sodini, con il suo solito entusiasmo contagioso che ha messo fin da subito a proprio agio gli studenti dei Salesiani. Poi, è toccato a Tassone – uno dei pochi cestisti laureati nel massimo campionato italiano – raccontare il proprio percorso di studi: «Fin da bambino, sognavo di poter giocare un giorno in Serie A. Nonostante io sia riuscito a realizzare questo mio grande desiderio, vi dico di non perdere mai contatto con la realtà. Anche se non vi va di studiare dovete farlo, ne va del vostro futuro. Se sono andato avanti con gli studi lo devo ai miei genitori, magari l’avrei fatto ugualmente, ma sono stati loro a indirizzarmi verso la strada giusta». Laureato in Scienze Motorie a Torino prima (triennale) e Pavia poi (specialistica), Tassone ha raccontato agli studenti qualche aneddoto sui sacrifici fatti anche fuori dal campo, con tante rinunce: dai “no” detti agli amici per le uscite serali, alle difficoltà di frequentare una ragazza per il poco tempo libero.

Poco dopo, è calato il silenzio in aula, quando un capitan Chappell particolarmente emozionato ha preso in mano il microfono per raccontare la propria adolescenza: «A 16 anni ero già padre – rivela il nativo dell’Ohio con la voce rotta dall’emozione – e per frequentare l’università ho dovuto fare tanti sacrifici, dovendo rinunciare anche a vedere mia figlia. Ai tempi vinsi un’importante borsa di studio per una buona università che, però, distava 4 ore e mezza da casa, lontano dalla mia famiglia. Fu molto dura. Ricordo che nelle prime due settimane chiamavo mia madre ogni giorno, dicendole che avevo bisogno di vedere mia figlia e che avrei mollato tutto per vederla. Fu proprio mia madre, però, ad incitarmi a non lasciare l’università, dicendomi che dovevo farlo per il mio futuro e per quello di mia figlia».

Non era facile, poi, studiare ed allo stesso tempo giocare a pallacanestro: «Mi alzavo sempre alle cinque del mattino per fare pesi – prosegue Chappell con il suo racconto - alle sei mi allenavo e dalle otto alle dodici andavo a scuola, poi dalla una alle quattro mi allenavo di nuovo e riprendevo a studiare fino alle sei. Tutto questo per 4 anni, tutti i giorni. Della mia famiglia ero e sono tuttora l’unico ad aver fatto l’università. A differenza di mio fratello ho sempre preso la scuola seriamente, non volevo fallire in nessun modo. L’esperienza universitaria mi ha aiutato a prendermi delle responsabilità, cosa che mi è servita nel corso della mia carriera da cestista». Il capitano biancoblù ha concluso il suo intervento con un consiglio molto prezioso, rivolto ai giovani studenti del Don Bosco: «Qualsiasi cosa fatela bene, non al 50 o al 70 %. Date sempre il massimo di voi stessi, si vive una volta sola».

La giornata è finita in palestra, tra schiacciate e tiri da metà campo, con gli studenti che hanno riservato al termine dell’incontro tantissimi applausi ai protagonisti biancoblù, senza dimenticare ovviamente selfie e autografi.

Pallacanestro Cantù ringrazia la Comunità Salesiana per l’ospitalità.