Derthona, Mario Fioretti: «Da tempo ho maturato la convinzione di fare questa esperienza»

Fonte: Derthona Basket
Derthona, Mario Fioretti: «Da tempo ho maturato la convinzione di fare questa esperienza»

Esistono rapporti professionali che trascendono dai doveri lavorativi, dalle firme sui contratti, dal 9-18. Nel mondo dello sport, professionistico e non, dall’allenamento, dalla partita, dallo scouting report. Dalla routine che si trascina lungo il corso della stagione. Il rapporto pluridecennale di Mario Fioretti con l’Olimpia Milano entra di diritto nel novero dei legami che vanno al di là della professione. Parla di legami forti, indissolubili; di crescita, di responsabilità, di affezione con una piazza. A tal punto che, come detto da lui stesso, si pensava “che questo momento non sarebbe mai arrivato.” E invece, dopo 22 anni, il cambiamento ha bussato alla porta di una casa nuova, quella della Cittadella dello Sport. Finalmente, il nome di Mario Fioretti si può associare ad un ruolo nuovo, in primo piano: capo allenatore. “È una bella emozione, perché ho fatto una vita in un altro ruolo,” dice il nuovo head coach del Derthona Basket. “È ormai tempo che ho maturato proprio la convinzione che volevo fare questa esperienza. Farla qua è veramente un sogno che si avvera.”

Un sogno che si avvera, rincorso per tanto tempo in passato. Magari con altre tempistiche, a latitudini differenti. La possibilità di guidare una squadra di Serie A dal lunedì alla domenica è un pensiero che in molti, specie coloro che si affacciano per le prime volte alla finestra di uno staff tecnico, elaborano. Spesso senza soluzione di continuità. Attilio Caja, Lino Lardo, Sasha Djordjevic, Zare Markovski, Piero Bucchi, Dan Peterson, Sergio Scariolo, Luca Banchi, Jasmin Repesa, Simone Pianigiani e Ettore Messina: questa la lunga lista di head coach a cui ha fornito aiuto, idee, spunti. Supporto incondizionato. Nel corso dei 22 anni passati in biancorosso, Mario Fioretti ha però anche potuto assaporare cosa significhi sedersi nella posizione più ambita in panchina, a causa dell’indisponibilità dell’allenatore di turno. Delle opportunità che, puntualmente, si tramutavano in un turbinio di emozioni. “Le ore prima della palla a due sono sempre quelle più difficili,” dice. “Quando inizia la partita, è come se scomparisse il resto e restasse solo la concentrazione e la voglia di fare la cosa giusta per la squadra. Onestamente, è una delle cose belle dell’allenare. L’essere completamente assorto in quello che fai è forse una delle cose più belle che esiste nella nostra professione, sia in allenamento che in partita".

Il sogno, quel pensiero recondito, l’ha sfiorato al termine di quelle serate da head coach, ma non solo. “Mi ha sfiorato anche tornando da assistente, onestamente,” ammette candidamente la nuova guida tecnica del Derthona Basket. “Negli anni c’è stata la componente positiva del trovarsi bene dove stavo; dall’altra parte, però, la continua voglia di fare qualcosa in più. Ho iniziato pensando di fare il capo allenatore e poi mi son trovato a stare così bene in una società di quel livello. Non voglio dire che fosse un chiodo fisso, ma l’idea di avere la mia indipendenza in quello che facevo l’ho sempre avuta, onestamente.” Il tramutarsi del sogno in realtà, tingendosi di bianconero, non è lontano nel tempo. Ma anche durante il corso della passata stagione, quando Mario Fioretti e il Derthona non si erano ancora avvicinati, il pensiero l’ha sfiorato.

Tra Milano e Tortona era in atto una collaborazione riguardante Ismael Kamagate, ed ero venuto qui per vedere un allenamento,” ricorda. “Nell’entrare qui ho proprio pensato, ‘Cavolo, che bello sarebbe venir qua ad allenare. Lo dice la parola stessa: il nostro lavoro è allenare, quindi per un allenatore avere un campo d’allenamento e una struttura di quel tipo, per uno che ama questa professione, nel vederla ti viene proprio in mente “Che bello sarebbe allenare qua.” Un amore a prima vista, rinsaldato dal fattore umano, dalla chimica venutasi a creare subito con i volti di un nuovo ruggito dei Leoni. Cos’è scattato, ora? “È scattato che c’è Tortona, ci sono il dottor [Beniamino] Gavio, Marco Picchi, Gianmaria Vacirca,” dice coach Fioretti. “Tutto questo, da mettere sul piatto, mi ha fatto pensare che fosse la cosa giusta da fare. Le persone vengono prima di qualsiasi altra cosa,” aggiunge. E lui lo sa bene. D’altronde raccoglie l’eredità di due guide tecniche che hanno impresso il proprio nome nella storia recente di questo club, scrivendo pagine di una storia ancora in evoluzione. “Questo è un club solido, che si è affidato ad allenatori bravi. Sia Marco [Ramondino] che Walter [De Raffaele] sono allenatori di assoluto livello. Nel lavorare in maniera oculata e non sfarzosa, è riuscita a far davvero bene,” sottolinea ripercorrendo la crescita del club.

Nello sport è normale ci siano dei momenti di alti e bassi, come ce li ha qualsiasi squadra, a qualsiasi livello. Ma la sensazione è proprio la solidità di una società che ha sempre pensato a mettere le persone giuste al posto giusto. Ovviamente, c’è stata una passione crescente e un seguito anche di pubblico, una comunità che spero possa aumentare ovviamente con la costruzione di un’arena come questa, che è unica nel suo genere,” dice con convinzione Fioretti, chiamando a raccolta il pubblico bianconero. “[Vogliamo] riuscire a convincere ulteriormente la gente del territorio che è una bella cosa venire a vedere il Derthona, che è una bella cosa venire a vedere una partita di pallacanestro.”

Come tutte le prime volte, è naturale guardarsi indietro per fare tesoro del proprio percorso. L’head coach Mario Fioretti, voltando lo sguardo, vede più di 20 anni da assistente allenatore. Ora, al di là della barricata, avrà un punto di vista differente sui propri collaboratori. Questa volta sarà lui ad assorbire le idee dei suoi assistenti. “Devono essere partecipi e sentirsi in prima linea come mi sono sempre sentito io, perché spesso devi avere dei momenti in cui devi pensare come se fossi il capo allenatore. Senza eccedere nel rispetto dei ruoli, ma devi approcciarti in quel modo, perché sai che il tuo lavoro dopo incide sul lavoro del capo allenatore. Spesso magari uno può pensare in maniera diversa, ma ho davvero sempre cercato di pensare, sia in allenamento che in partita, come se fossi io là in prima linea. Ovviamente poi cercando di stare nell’ombra quando dovevo stare nell’ombra,” racconta.

Il cerchio che si chiude ne apre uno nuovo. Inesplorato, pieno zeppo di curiosità, intrigante. Per Mario Fioretti, ovviamente. E per il Derthona Basket, che si affida ad una guida tecnica che mastica pallacanestro da decenni, partito da Bergamo, trascorrendo un anno all’ombra di una leggenda come Bobby Knight. E poi attraversando i palcoscenici più ambiti, accompagnando undici allenatori differenti in 22 anni in biancorosso. È una nuova vita, letteralmente, dalla quale si aspetta tanto. “Sarei falso se dicessi la stessa durata, vista l’età,” scherza. “Sicuramente [mi aspetto] che sia una cosa bella e duratura, che io possa riprovare le stesse emozioni che ho provato, lo stesso attaccamento che ho provato, con una responsabilità ancora maggiore. Quindi, spero con ancora maggior coinvolgimento.”

Un qualcosa che duri nel tempo, che sia bello e coinvolgente,” dice. Un ruolo inedito, che raccoglie con “grande emozione.” Quella che provi alla prima interrogazione, al primo esame in università. Al primo clinic, alla prima conferenza stampa. All’esordio stagionale, al primo ingresso in campo. “[Vorrei] avere un po’ di mal di stomaco a un’ora, un’ora e mezza dalla palla a due. Poi, quando partirà la partita, cercare di trasformarlo in concentrazione e passione per fare la cosa giusta.” Il sogno di Mario Fioretti si è finalmente avverato, e non c’è bisogno di dare dei contorni ad una bozza di pensiero, a delle ambizioni volatili, che non trovavano conferma nell’approcciarsi a un mondo nuovo. La Cittadella dello Sport è pronta a ruggire per una stagione che sa di novità. Serviva un Leone nuovo. È arrivato.