Caglieris, il mago: «BasketCity, il mio trampolino. Che gioia lo scudetto con la Virtus»

Fonte: Il Resto del Carlino
Carlo Caglieris in maglia Virtus
Carlo Caglieris in maglia Virtus
© foto di www.fip.it

UNA CASCATA di riccioli neri, due mani magiche e un talento sopraffino. Carlo Charlie Caglieris oggi vive a Loano, in provincia di Savona e continua a fare l'insegnante di educazione fisica. Ma negli anni Settanta e Ottanta è stato un playmaker sopraffino, capace di vincere tre scudetti con la Virtus, dopo una prima stagione in Fortitudo e trionfare a Nantes, nel 1983, con la maglia azzurra sulle spalle. Chi ha dimenticato quelle storiche immagini della finale dell'Europeo con la Spagna e Caglieris che, felice come un bambino, al suono della sirena, si appropria del pallone, lo bacia e lo alza al cielo come se fosse un vero e proprio trofeo? E a questo proposito, dove diavolo è finito quel pallone? E' ancora in bella vi sta, lustrato e lucidato, in casa Caglieris? «Macché - risponde Charlie, ricostruendo il post partita - quel pallone l'ho avuto tra le mani per qualche istante. Poi l'ho affidato a qualcuno, non mi ricordo nemmeno a chi. E dopo la doccia era sparito». Niente pallone da mostrare come trofeo, ma il proprio nome nell'albo d'oro dell'Italia capace di vincere, nel 1983, il suo primo alloro europeo. «Arrivai a Bologna nel 1974 - racconta Caglieris - , sponda Fortitudo. In panchina c'era il professor Aza Nikolic, in campo Ron De Vries, un ottimo giocatore. Il problema è che a metà stagione De Vries si rompe, il regolamento non prevede sostituzioni e noi siamo costretti a giocare con Giauro. Che si sbatte, fa mille sacrifici, ma non suo garantire lo stesso talento di A fine stagione Charlie fa le valigie, ma solo per attraversare la strada, dalla Fortitudo alla Virtus. «Non si scandalizzò nessuno - commenta - . All'epoca la Fortitudo era solo il parente povero della Virtus. Piuttosto non me l'aspettavano nemmeno io. In quell'estate c'era sul mercato uno come Carrara, invece la Virtus, Porcili e Peterson puntano su di me». E fanno bene, perché arriva subito lo scudetto. «Mi viene in mente la vittoria a Varese, l'entusiasmo a Bologna che era vent'anni che non vinceva uno scudetto. Pazzesco». Se gli si chiede la partita che gli è rimasta impressa il ricordo è tutt'altro che piacevole. «La finale di Strasburgo, quella Coppa dei Campioni svanita per un punto. Peccato». Tanti i giocatori con i quali è rimasto amico. «Villalta, Martini, Serafini, Ogni tanto vedo Antonelli. Ho perso il contatto con Bertolotti, mi è spiaciuto». Charlie e la Virtus di Porcili. «Bologna resta nel mio cuore. Ma non crediate che guadagnassimo tanto. Quando sono passato a Torino, tanto per fare un esempio, ho raddoppiato le entrate».

LA LEGGENDA NARRA che Porcili, in sede di trattativa, fosse duro, anzi durissimo. «Eravamo, se mi passate il termine, un po' maltrattati. Lui si faceva forza con il cartellino e un po' l'abbiamo subito tutti. Quando andavamo da lui (ride, ndr) non trattavamo l'ingaggio. Gli chiedevamo semplicemente come stava». Tanti i campioni incontrati a Bologna. «Driscoll era grande come giocatore. E come allenatore. Ancora non mi capacito come, dopo aver vinto due scudetti, fu lasciato andar via per una differenza tra domanda e offerta di diecimila dollari. Jim McMillian era un grandissimo. Ma tutti, in generale, lo erano. L'unico che aveva legato poco, e che stava per conto suo, era John Roche». C'era anche il grande Cosic. Si narra che Kresimir all'inizio stentasse un po' e, una domenica mattina, saltasse un allenamento ripreso dai compagni. E che il croato avesse poi detto: «Cari amici, per costruire le case servono i muratori e gli architetti. Voi siete i muratori, io l'architetto».

«TUTTO VERO   conferma Charlie   ma lo diceva con il sorriso sulle labbra. Noi lo prendevamo in giro per la sua fede mormone. E' stato un grande amico. Ho abitato anche a casa sua. Credo di essere stato uno degli ultimi a sentirlo in vita. Lavorava a Washington, per il governo croato. Stava morendo, lo sapeva. Ebbene, durante quella chiamata fu lui a farmi coraggio. Kreso era così. Uno vero, un grande».  Oggi Charlie continua a insegnare agli studenti dei licei e porta avanti anche un progetto per portare avanti l'attività sportiva nelle carceri. «C'erano dei finanziamenti per questo, ci sono stati dei tagli e abbiamo subito qualche battuta d'arresto. Ma la nostra non è una resa: presto ricominceremo a portare lo sport all'interno degli istituti di pena». Per uno che è stato uno dei più grandi playmaker italiani degli anni Settanta e i primi Ottanta, forse l'assist (sociale) più bello.

Alessandro Gallo