Con Jim McGregor scompare l'ultimo romantico del Basket

Con Jim McGregor scompare l'ultimo romantico del Basket

(Mario Arceri) - Se n'è andato a 91 anni. Da molto tempo ci chiedevamo che fine avesse fatto il "rosso malpelo" del basket mondiale, quel Jim McGregor che, parola di Valerio Bianchini, "gettò sulla pallacanestro europea degli anni Cinquanta una grande luce con l’introduzione del sistema di gioco offensivo chiamato «dai e cambia». Lo schema consisteva in uno schieramento 4 fuori e un centro sotto canestro. Gli esterni imbastivano sul perimetro una continuità basata sul movimento di passare la palla a un compagno...

e allontanarsi verso il lato opposto. Allontanandosi potevano anche bloccare per l’uomo lontano dalla palla, che usava il blocco per tagliare a canestro come in una specie di primitivo «pick and roll» lontano dalla palla. Ma il segreto del gioco consisteva nel progressivo arrivare a una situazione di attacco in cui l’attaccante con palla poteva muoversi contro il suo avversario avendo i compagni lontani da lui, e con essi anche i loro difensori che dunque non potevano aiutare contro il palleggiatore. L’attaccante isolato col suo difensore poteva sfruttare il grande vantaggio di batterlo in entrata o col tiro da fuori. Era la nascita ufficiale dell’«uno contro uno», quello che a tutt’oggi è il nucleo stesso del gioco del basket, reso leggendario dal mitico Michael Jordan" (La leggenda del basket, pag. 121, Mario Arceri e Valerio Bianchini, Baldini&Castoldi, 2013).

Jim è stato con Elliot Van Zandt e Nello Paratore uno dei padri fondatori del basket italiano, è rimasto legato al nostro Paese per tantissimi anni, ha contribuito alla crescita della nostra pallacanestro anche allestendo le squadre di americani in cerca di contratto che, sotto la sigla dello sponsor di turno, da Gulf a Gillette, animavano, da Roseto a Scauri, i tornei estivi che tanta parte hanno avuto nella promozione del nostro sport. Jim ha allenato Gorizia, Pesaro e Perugia dove nel 1985 ha concluso la sua carriera di coach, a soli 63 anni, per intensificare quella di… procuratore. Molti gli americani arrivati grazie a  McGregor, da Kenney a Mike D'Antoni: assai stretto infatti il rapporto con l'Olimpia Milano, Cesare Rubini, ed anche con le dirigenze succedute al "Principe". Con la Nazionale vinse nel 1955, a Barcellona, la medaglia d'argento ai Giochi del Mediterraneo.

L'addio a Jim McGregor, a pochi mesi di distanza da quello dato ad un altro grandissimo personaggio di quei decenni, Dido Guerrieri, rappresenta anche il malinconico commiato all'ultimo testimone, anzi protagonista, di un basket romantico, eppure efficace e spettacolare. Il gitano rosso, autentico cittadino del mondo, "globe-trotter" della panchina, incapace di restare a lungo nello stesso posto, nella stessa città, addirittura nello stesso continente, divorato dalla voglia di viaggiare e di cercare nuovi approdi: questo era Jim McGregor, l'uomo dai mille aneddoti e dai centomila contatti, che ti stupiva ogni volta con un racconto sempre nuovo e che riusciva a dare sprint a tutte le sue squadre, che dovevano correre, dal primo all'ultimo minuto, come lui nella vita.

Lo ricordo "rubando" altri due o tre brani alla "Leggenda", per capire meglio chi è stato e cosa ha rappresentato per noi questo uomo dalla vitalità inesauribile e dalla grande sapienza cestistica.

 La Nazionale a Jim McGregor

Nel 1955 la Nazionale viene affidata a Jim McGregor, ma Decio Scuri ingaggia anche come istruttore federale Nello Paratore, il coach dell’Egitto che ci aveva punito così severamente ai Giochi di Helsinki, un professore con l’hobby del bridge. McGregor, un giramondo di pelo rosso, segnalato da William Jones, arriva da Portland, firma un contratto di tre anni, insegna all’Italia il pressing.

Cambia anche la nostra società, in quel periodo. Irrompe la televisione, e il basket vi ha accesso anche se, come ricordava Aldo Giordani, vengono preferiti gli incontri femminili, occasione per… vedere le gambe delle fanciulle, in un’epoca castigatissima che concede ben poco alle ballerine di fila sul piccolo schermo. È un’occasione di diffusione in più per il nostro sport che con McGregor, a livello di Nazionale, dopo un periodo abbastanza opaco è tornato a offrire spettacolo e risultati. Giungono così gli Europei di Budapest, storici per diversi motivi.

Jim McGregor sceglie solo il giovanissimo Sandro Gamba della Borletti che ha ceduto alla Virtus di Vittorio Tracuzzi il titolo di campione d’Italia. Dei neo-tricolori c’è tuttavia soltanto Germano Gambini. Gli altri sono Elvio Bizzarro, Adelino Cappelletti, Tonino Costanzo, Giordano Damiani, Silvio Lucev, Sergio Macoratti, Alberto Margheritini, Vinicio Nesti, Stelio Posar, Gianfranco Sardagna e il giovane Sandro Riminucci che all’epoca gioca ancora a Pesaro. L’Urss perde con la Cecoslovacchia e poi con l’Ungheria. I magiari sono battuti dai ceki, ma questi cedono alla Jugoslavia e alla Polonia, vedendosi così sfuggire un titolo europeo che le successive grosse prestazioni (94-48 all’Italia, 91-69 alla Bulgaria) non valgono a recuperare. L’Italia perde con l'Urss di soli sei punti (54-48) e finisce con il classificarsi al sesto posto, cedendo anche a Bulgaria e Polonia ma battendo Romania e Jugoslavia.

 La Lega dice no a Mondiali e Olimpiadi

 Nel ’54 si era disputata la seconda edizione dei Campionati mondiali, a Rio de Janeiro. Vincono gli Usa davanti al Brasile. Unico italiano presente l’arbitro Pietro Reverberi, che vince il premio come miglior direttore di gara. La programmazione a ottobre inoltrato era costata infatti la rinuncia dell’Italia che non andrà nemmeno, nel ’56, ai Giochi Olimpici di Melbourne: in calendario a fine novembre, avrebbero messo in crisi il campionato. 

Ricorda con amarezza Sandro Gamba: «Sarei stato in squadra. Purtroppo, dopo che avevamo fatto tutta la preparazione e avevamo già i visti sui passaporti, la nascente Lega delle società decise che, anche se eravamo qualificati, non avremmo partecipato, perché altrimenti il campionato si sarebbe interrotto per un mese».

Decio Scuri, per salvare le apparenze, decreta che l’Italia avrebbe partecipato solo se si fosse piazzata tra le prime in un torneo con le più forti squadre europee, ma dà appena due giorni di tempo a Jim McGregor per preparare la Nazionale e in una palestra priva di canestri: così l’Italia batte Polonia e Svezia, ma cede a Ungheria, Urss e Cecoslovacchia, facendo sfumare il viaggio in Australia. Era il Trofeo Mairano, a Bologna, che passa comunque alla storia soprattutto per la grandissima impresa di Adelino Cappelletti da Cantù che riesce a segnare alla Svezia (partita finita 86-30) la bellezza di 45 punti, record battuto solo 31 anni dopo da Antonello Riva (46 punti alla Svizzera il 29 ottobre 1987), avvicinato nel 1978 dal povero Claudio Malagoli con 40 punti ai turchi.

 Jim McGregor, l’uomo delle due «D»

 Vale la pena di soffermarci un po’ sull’uomo McGregor. Di questo picaresco personaggio, un giramondo legato al mito delle due «D» (dollari e donne, «molti più dollari e molto meno donne ormai» avrebbe più tardi confidato ad Aldo Giordani), in effetti si conosce bene unicamente il numero di anni trascorsi da coach: ben 35, dei quali ventisette spesi all’estero. Jim McGregor ha iniziato proprio in Italia, provenendo da Portland, la sua prestigiosa carriera. Facendo i conti, sottolineava un primato forse irraggiungibile da altri allenatori: quello di avere guidato ben nove squadre nazionali di altrettanti Paesi. Dal 1955 in poi, McGregor è stato visto sulle panchine di Italia, Grecia, Turchia, Austria, Svezia, Perù, Marocco, Centrafrica e Colombia prendendo parte a Campionati Europei, del Mondo, qualificazioni olimpiche, Giochi del Mediterraneo e del Centro America, Olimpiadi e Giochi Africani, Coppe europee. Ha maturato un’esperienza eccezionale guidando per nove anni club italiani e per diciotto anni selezioni nazionali. Ha anche trasmesso parecchia della sua sapienza cestistica, non sempre compresa, anche perché spesso gli sono stati chiesti autentici miracoli. Tatticamente è sempre rimasto legato al pressing; le sue squadre hanno sempre difeso con aggressività correndo a velocità folli. Come lui, che non si è fermato mai a lungo in nessun posto.

Una «diaspora» continua per il povero (per modo di dire) Jim, che dalla Federazione italiana viene giubilato nel ’56 al ritorno dalle Olimpiadi di Melbourne, alle quali aveva assistito come «osservatore», per una storia di irregolarità doganali presa a pretesto.

Il Trofeo Mairano era dunque stato l’ultimo atto di McGregor. Come per Elliot Van Zandt, il suo insegnamento si sarebbe apprezzato successivamente.

 L’Urss ai Mondiali presenta Sabonis

Nel 1982, in un anno funestato dall’improvvisa e assurda guerra tra Argentina e Gran Bretagna per il possesso delle Falkland (o isole Malvinas), l’Italia non è presente ai Mondiali di Cali, in Colombia. Medaglia d’argento ai Giochi di Mosca, è qualificata di diritto, ma una volta di più la pressione della Lega, nel frattempo politicamente assai rinforzata, che minaccia di negare alla Nazionale i suoi migliori giocatori, convince la Federazione a rinunciare alla rassegna iridata, programmata per fine agosto, troppo a ridosso dell’inizio del campionato.

Il forfait degli azzurri spiana la strada alla Spagna verso il quarto posto alle spalle dell’Urss che, dopo il boicottaggio del blocco occidentale alle sue Olimpiadi del 1980, decide di partecipare solo grazie alle pressioni di Borislav Stankovic. È un Mondiale difficile anche per i problemi dell’altitudine, ma in un Paese che scopre il grande basket per la prima volta, entusiasmandosi.

Gli indubbi legami con la Spagna portano ben 20.000 persone ad assistere a Bogotà (2630 metri sul livello del mare) al confronto degli iberici con il Panama, decisivo per il passaggio alla seconda fase dopo che gli spagnoli hanno battuto gli Usa. Alla guida della Colombia una vecchia conoscenza: Jim McGregor. Sì, proprio lui, il rosso giramondo, ct azzurro negli anni Cinquanta, protagonista anche qui di un clamoroso «caso». Ammessa d’ufficio alla fase finale, la Colombia prende sberle da tutti (76-143 con l’Urss), non vince nemmeno una partita pur andandoci vicina contro l’Australia (63-72), chiude il Mondiale senza il suo allenatore in panchina nell’ultima partita contro il Canada (79-107): la versione ufficiale parla di un fermo di polizia per un’irregolarità sul suo visto di soggiorno, secondo quella ufficiosa il buon Jim non aveva ancora ricevuto i 12.000 dollari di compenso pattuiti con la Federazione colombiana, abbandonando quindi la squadra anzitempo.

Gli Usa di Robert Weltlich, con Antoine Carr, Jeff Turner, Earl Jones, Joe Klein, John Pinone e Glen Rivers, battono l’Urss nella seconda fase, ma non riescono a ripetere l’impresa in finale: i sovietici prevalgono di un solo punto, 95-94, di fronte a ben 25.000 spettatori, schierando per la prima volta un giovane lituano alto 2,17, Arvidas Sabonis: ha appena 17 anni. Spettacolare la finale per il terzo posto: prevale (119-117) la Jugoslavia di Ranko Zeravica, ma la Spagna di Antonio Diaz Miguel si rende protagonista di uno stupendo recupero: 99-114 a tre minuti dalla fine, sigla il canestro che la porta a due soli punti dagli slavi quando mancano appena due secondi alla fine. A Cali dà l’addio alla Nazionale il mitico Wayne Brabender che, con Clifford Luyk, ha firmato le grandi stagioni del Real Madrid.