Baby stranieri: come ti divento italiano in quattro anni

Fonte: Gazzetta dello Sport - Vincenzo Di Schiavi
Baby stranieri: come ti divento italiano in quattro anni

Strautins e i suoi fratelli. Ovvero ragazzi stranieri che, nel pieno dell'adolescenza, entrano nei nostri vivai inseguendo il sogno del professionismo. E accettare la sfida con la cittadinanza sportiva italiana magari ti dà pure qualche chance in più. Sono i cosiddetti italiani di formazione: quattro anni in un settore giovanile nostrano per conseguire lo status di giocatore autoctono. Al momento sono 32, sparsi in 15 club di Serie A: Sassari ne ha addirittura 6; Varese, Venezia, Cremona e Trieste 3; Brindisi nessuno. Arrivano principalmente da Europa dell'Est, Africa, Centro e Sud America e alcuni hanno già annusato l'aria della prima squadra come il virtussino Gora Camara, senegalese, classe 2001, mvp al recente Adidas Next Generation Tournament organizzato dall'Eurolega. Per molti di loro si tratta della scommessa della vita.

Esempio Dinamo. Sassari raccoglie le risorse di un'intera regione: oltre a Diop, Diouf (classe 1999, Senegal), De Jesus (1999) e Baez (2004) entrambi dominicani, Traorè (2001, Mali) e Bahillo (2003, Filippine). Ragazzi di seconda generazione che si sono avvicinati al mondo Dinamo. «Ma c'è pure chi, come Traorè arriva da un centro di prima accoglienza — rivela Giovanni Piras, responsabile del vivaio sassarese —. L'anno del Triplete ha capovolto il rapporto calcio-basket. Ora i figli degli immigrati guardano soprattutto alla pallacanestro. Il progetto Academy che coinvolge 19 società ci consente di tenere monitorato il territorio. Tra l'altro copriamo tutte le categorie, dalla Promozione alla Serie A, e la collaborazione con il Convitto Nazionale Canopoleno fornisce ai ragazzi la possibilità di sviluppare un percorso legato agli studi. Con la Fondazione Dinamo, infine, siamo impegnati nel sociale e tutte queste sinergie ci permettono di offrire agli atleti una prospettiva che è poi un'opportunità per loro, ma anche per noi, senza dimenticare 1 ragazzi sardi o italiani».

Esempio Reyer. Venezia ha costruito uno dei vivai più importanti d'Italia ed ha scommesso sul serbo Jerkovic (già formato) e gli ungheresi Kiss (classe 2002) e Kovacs (2003) in via di formazione: «Non facciamo reclutamento in giro per il mondo — spiega Francesco Benedetti, responsabile del settore giovanile Reyer —, ma valutiamo chiunque si proponga. Sono ragazzi che spesso alzano il livello qualitativo del vivaio, ma ogni singolo caso va studiato con grande attenzione. Noi, per esempio, abbiamo deciso di non reclutare più extracomunitari perché significa prendere in affido il ragazzo attraverso un giudice, tagliando fuori la famiglia d'origine. Inoltre, quando sono formati, necessitano di un visto e quindi di un lavoro per restare nel nostro Paese. Sia ben chiaro: non c'è alcun intento discriminatorio, ma un impegno e una responsabilità che vanno molto al di là del mero aspetto sportivo». Le difficoltà peraltro affiorano a tutte le latitudini: «Jerkovic è un ragazzo splendido — rivela Benedetti —, così come i due ungheresi. Parliamo di giovani che arrivano senza parlare una parola di italiano e, forse, due di inglese. Spesso non sono nelle condizioni di comunicare. Vanno quindi seguiti in tutto: scuola, foresteria, ambientamento. Noi siamo sempre in contatto con le loro famiglie, ma si tratta di una grande responsabilità». Più motivati degli italiani? «Be' — conclude Benedetti —, è già motivato un ragazzino che da Padova viene a Venezia 4 volte a settimana per allenarsi o che lascia la famiglia per trasferirsi da noi, figuriamoci chi arriva dalla Serbia senza conoscere la lingua». Ancor più diretto Giovanni Piras: «Sono molto più affamati dei ragazzi italiani, inutile negarlo. Cito sempre questo episodio: mai vedi i nostri ragazzi entrare in palestra con le cicatrici alle ginocchia. Quelli stranieri sì, vengono da un altro mondo, difficilmente sono cresciuti in un condominio......