Metta World Peace "Avete un grande appeal, l'Italia è la mia America"

Fonte: massimo pisa - la repubblica
Metta World Peace "Avete un grande appeal, l'Italia è la mia America"

"NON c'è un vecchio Ron Artest, sono sempre lo stesso. Orgoglioso come ero sulle strade del Queens. Dovessi cambiare come persona non sarei soddisfatto di me stesso. E io lo sono, di me, della mia vita, di tutto". Fine allenamento, Metta World Peace si asciuga tra i tubi e le lamiere del vetusto Pianella, la sua casa da un mese. Bagliori dell'antico Cattivone Nba riaffiorano, ma da vicino non fa così paura.

Era tutto come si aspettava? Cantù, l'Italia, il basket?
 "Sono arrivato in piena lotta playoff, ed è quello che mi piace. Non giocavo da dicembre in Cina, mi sono dovuto rimettere in forma, le cose migliorano".

Davvero le piace questa vita in scala rispetto alla magna Nba?
 "Mi piace? L'Italia è il centro del mondo per la moda. A New York, la capitale mondiale dei media, se vuoi parlare di look parli di Italia, per me è una fortuna essere qui. Sì, anche abitare nella palazzina qui di fronte, fare la spesa sotto casa al negozietto bio e farmi da mangiare. Ho appena imparato a cucinare. E mi piace il vostro campionato, di sicuro è meglio della Lega cinese. Ma il basket è in cattivo stato, non è più un gioco da uomini da quando c'è la zona, in Europa e anche in Nba. Ora è roba da ragazzini, da college".

Con chi è rimasto in contatto del suo vecchio mondo?
 "Kobe Bryant. Era in Italia, ma non gli ho chiesto di venire a vedermi, festeggiava l'anniversario con la moglie. Rick Carlisle, mio ex coach. E Phil Jackson: se ho problemi in campo gli do un colpo di telefono".

Coach Zen, quello del suo unico titolo vinto ai Lakers. La sua più grande ispirazione?
 "No, quello è Larry Bird, mio presidente quando ero agli Indiana Pacers, è lui che ha avuto il maggiore impatto su di me. Grande ragazzo, lo adoro. L'estate prima della squalifica si mise a lavorare in palestra con me, ogni giorno, mi insegnava un sacco di trucchi: la mia media migliorò da 18 a 25 punti a partita, mi avrebbero eletto mvp".

E invece arrivò il fattaccio. Rissa sul parquet a Detroit, bicchiere di coca che le piove addosso, lei che picchia e insegue i tifosi in tribuna. Era il 19 novembre 2004, 86 giornate di squalifica, e da allora niente fu come prima.
 "Ero giovane, e immaturo. Sono cresciuto, ma mi fanno ancora arrabbiare le stesse cose. Povertà. Oppressione. Violenza. La troppa droga nel mio quartiere. Sono robe che fanno arrabbiare tutti. Omicidi. Amici che vanno in prigione. Ma sono lontano da vent'anni da quelle robe".

E quando vede rivolte nere come quelle di Baltimora, come reagisce?
 "Non è roba nuova, e la realtà lì la conosco bene. La mia famiglia trafficava droga, nel Queens e nel Maryland. E Baltimora è sempre stata così, solo che il mondo se ne accorge adesso. Non voglio che questa roba mi condizioni più. La vita è bella, il mondo è grande, anche se c'è gente cattiva che lo rovina".

Le manca l'Nba?
 "Sono una delle migliori ali del mondo. Quest'estate ero ai Los Angeles Clippers ad allenarmi, nessuno poteva marcarmi. Mi chiesero di stare con loro, preferii la Cina. Lì se sei un veterano ti pagano meno, privilegiano i giovani. Non avrei giocato, anche se sono migliore e ho più esperienza di una matricola. Ho solo 35 anni e sto bene. Non mi interessa guardare LeBron o Kevin Durant, voglio prenderli a calci in culo. Non mi frega di applaudire Carmelo Anthony o di entrare allo Staples Center, voglio giocarci. L'Nba ha il miglior marketing, ma non tutti i migliori giocatori. Ecco perché sono qui, non sono più uno dei loro, ma del vostro campionato. Chi mi piace? Stefano Gentile, gran professionista".

Continuerà qui?
 "Grande posto, grandi tifosi, perché no? Tutti i miei amici vogliono venire in Italia, il miglior cibo del mondo, e dove altro ti capita di visitare Roma, Venezia, Firenze, Milano, Bologna e Napoli? Avete un grande appeal, non so se ve ne rendete conto".