Cedro Galli, vice di Dell'Agnello, ritrova il Poz: «I nostri anni a Varese.Quante scommesse hai perso Mi metto a ridere e ti abbraccio»

Fonte: Il Resto del Carlino
Massimo 'Cedro' Galli
Massimo 'Cedro' Galli

FORLÌ - Cedro Galli, allora: come fu quella volta con Djordjevic?
«Gianmarco perse la scommessa. Fosse l’unica... Forse l’età gli ha dato un vuoto di memoria».
 

Colmi allora lei il vuoto.
«Eh, meglio di no».
 

Pozzecco dice: «Cedro è un grande motivatore». Scherzava come al solito o questa è vera?
«No, questa è una cosa che ho sempre fatto: prendere da parte i giocatori, tranquillizzarli, aiutarli a dare il meglio».
 

Lei ha allenato Pozzecco dal 1994 al 2000.
«E ho avuto un ruolo determinante nel suo arrivo a Varese: nell’estate del 1994 Bulgheroni e Cappellari mi dissero di organizzare una partitella 5 contro 5 al Campus, un sabato pomeriggio. O forse era domenica. Volevano vedere un giocatore che veniva da Livorno. Era lui. E ci marcammo».
 

Parere favorevole?
«Gianmarco è stato un giocatore straordinario».
 

Si aspettava di vederlo un giorno in panchina?
«Sapevo che voleva farlo e che Capo d’Orlando l’aveva già cercato in estate».
 

Sì, va bene. Però non era Mike D’Antoni, il classico di cui si dice: era già un allenatore in campo. Chi l’avrebbe detto dieci anni fa...
«Sono meno stupito di quel che creda. Per lui, in fondo, è la stessa passione. Lo si capisce da quello che dice, che racconta. E chi ha un grande talento a volte lo sa trasferire».
 

Sta per dire che è un grande allenatore?
«Si vede che ha trasmesso entusiasmo, questo sì. Lo si vede proprio dagli atteggiamenti, le facce dei suoi giocatori. Fare di più in tre settimane è difficile. Comunque, la testa conta più di tecnica, tattica, atletismo. Poi, ha già dato alla squadra l’idea di tirare dopo 8-10”, tutto in velocità».
 

Come giocava il Poz.
«Sì. Ma c’è qualcosa che ancora non ha conosciuto: la pressione, da allenatori, è maggiore. Quando giocava era responsabile per se stesso, ora lo è di tutto un gruppo».
 

Dopo la prima partita ha detto ‘avevo mal di testa, poi mi sono ricordato che non ce l’ho, una testa’.
«Invece credo che sappia bene cosa sta facendo».
 

Dica la verità, però. Che effetto le fa in giacca e cravatta?
«Penso di avergliele viste indosso solo per il matrimonio di Bulgheroni, a Varese...».
 

Si disse che nel 1999, dopo lo scudetto, quando lei fu nominato allenatore al posto di Recalcati, tra voi non siano state rose e fiori.
«Diciamo che non è stato irreprensibile».
 

Allora lo dica.
«Ma nemmeno Valerio Bianchini, che venne dopo di me, ottenne risultati. C’erano troppi fattori strani, quell’anno. Nulla di personale».
 

Di personale, in tanti anni, ci sarà qualcosa. In positivo.
«Ricordi bellissimi. Non chiedetemene uno, sono troppi. Una curiosità: non voleva tirare con i compagni, lo faceva da solo».
 

Domani sera al PalaCredito. Lo vede e...
«Mi metto a ridere. Poi lo abbraccio».

Marco Bilancioni