Dopo il “miracolo” di San Bernardo a Cantù serve una proprietà… e un play

Al di là della differenza di forze in campo, il derby con Milano ha rimesso in luce i problemi in regia dei brianzoli
10.12.2018 16:48 di  Paolo Corio  Twitter:    vedi letture
Gaines contro l'Olimpia
Gaines contro l'Olimpia
© foto di pallacanestrocantu.com

Se come Cantù stai morendo di sete nel deserto di un basket italiano dalle continue emergenze finanziarie, non stai giustamente a sottilizzare sul colore della bottiglia d’acqua (San Bernardo) che ti porgono. Ringrazi per il gesto, o se preferite per il miracolo, e sacrifichi il tradizionale bianco-blu della maglia con il bianco-verde in omaggio a uno sponsor senza il cui avvento il derby con l’Olimpia Milano avrebbe avuto qualcosa di assai più sinistro della sconfitta per 74-101 con cui si è concluso.

La cordata di Chieti e il piano B

Guadagnati mesi preziosi sull’orologio della partita decisiva grazie alla mediazione di Roberto Allievi e al senso di appartenenza di Antonio Biella, direttore generale di Acqua San Bernardo e grande tifoso della Pallacanestro Cantù (“ti accorgi di quanto una cosa sia importante quando stai per perderla”, sono state le sue esaustive parole alla presentazione della partnership), il club vede ora allungarsi gli orizzonti, anche se con scenari diversi. Il primo, emerso nelle ultime ore, vedrebbe arrivare in Brianza una cordata di imprenditori di Chieti guidata dalla Proger Spa, interessata soprattutto alla realizzazione del nuovo palazzetto, e da Gabriele Marchesani, presidente dell’Europa Ovini e anche del Basket Chieti, al quale andrebbe invece la responsabilità di gestire la parte sportiva. Sull’evoluzione della storia, degna di un Natale alla Dickens, incombe però la figura del solito Grinch, alias Dmitry Gerasimenko, la cui ormai leggendaria irreperibilità risulta il primo ostacolo da superare per arrivare a un accordo.

Ovvio che nella sede di Cermenate tutti si augurano di riuscire a ricontattare l’ex-patron svanito nel nulla, o almeno che ci riesca la consorte Irina per essere autorizzata alla firma decisiva, ma nel frattempo si studiano altri piani per gestire l’emergenza. Il più quotato dei quali prevede l’ingaggio di un direttore sportivo dalle comprovate abilità di mercato per alleggerire i costi del roster mantenendo però la rotta della barca in direzione salvezza nell'attesa di una nuova proprietà. Incassata solo la disponibilità a una consulenza da parte di Bruno Arrigoni, tra le colline brianzole è iniziato a circolare il nome di Marco Atripaldi, con il ruolo che è stato però messo in stand-by per la trattiva di cui sopra. Chiunque lo ricopra e in qualsiasi contesto, non potrà però fare a meno di considerare un aspetto tecnico emerso anche nella partita con l’Armani…

Dove vai se il play non ce l’hai?

Parlare di innesti in questo preciso momento storico può sembrare folle, inutile negarlo. Ma se l’obiettivo è proseguire seriamente il Campionato, considerando anche il parco delle contendenti che gravitano nella zona bassa della classifica dopo nove giornate, Cantù pare proprio aver bisogno di un play sul parquet tanto quanto necessita fuori dal campo dell’arrivo di capitali. Frank Gaines è un buon giocatore e un ottimo realizzatore (16 anche contro l’Olimpia per 19.2 di media, migliore in assoluto dei suoi) ma non è e non è mai stato un regista, come certificano anche i 2.2 assist a partita. E Gerry Blakes, per quanto volenteroso, non fa parte di quelle scommesse altre volte vinte da queste parti con la scoperta di talenti nascosti: approdato in Brianza da campione di Svezia, non ha di fatto mai preso davvero in mano la squadra come da programmi di inizio stagione. E così, tra un Gaines più votato a cercare il canestro che a passarla e un Blakes spesso imbrigliato in un palleggio senza costrutto, l’attacco di Cantù o trova sfogo nella transizione dopo un rimbalzo o un pallone recuperato oppure finisce inesorabilmente per diventare un assalto all’arma bianca che spesso si infrange contro le difese avversarie, non necessariamente d’alta classifica.

Spendere l’ultimo visto a disposizione per la regia, o magari cercare la soluzione nel mercato europeo come italiano, potrebbe allora rivelarsi la mossa giusta per rimanere appetibili conservando la massima serie. Tanto più che alla squadra non mancano offensivamente i lunghi da innescare, a partire da un Jefferson che contro l’Olimpia – visto il pacchetto avversario - ha messo a referto un’onorevole doppia doppia (20 punti, 12 rimbalzi, di cui 9 offensivi), recuperando tanti palloni dal cestino della spazzatura per metterli nel cesto avversario. E poi ovviamente capitan Udanoh, dal contratto oneroso ma dall’atteggiamento sul parquet che giustifica qualsiasi sacrificio per trattenerlo: doppia doppia anche per lui (14 punti, 12 rimbalzi), più un solitario giro di campo a “dare il cinque” ai tifosi per la consapevolezza di non aver nulla da rimproverarsi in termini di impegno e dedizione alla maglia.

Diversi invece i casi di Shaheed Davis e Tony Mitchell. Per il primo, un’altra partita che ne certifica una scarsa inadeguatezza al nostro torneo: 3,4 punti di media (virgola contro l’Olimpia) e 3.8 rimbalzi di media in quasi 14’ sul parquet sono un contributo che potrebbe essere serenamente fornito da qualsiasi motivato italiano di A2. Mentre l’ex-bomber con la maglia di Trento, al netto del recente lutto familiare che l’ha sicuramente provato e delle difese che cercano ogni volta di limitarne l’azione, pare al momento quello che più di tutti sta risentendo della situazione extra-campo: solo 8 punti in 28’ contro Milano (con 3/10 al tiro) si aggiungono al trend negativo dei 10 a Brindisi e degli 11 a Pesaro, inframezzati dai 23 di Bologna. L’high dei 36 contro Reggio Emilia è insomma molto lontano e se è vero che nell’ultimo quarto con l’Armani – come sottolineato anche dallo stesso coach Pashutin a fine partita – tutta la squadra ha mollato (eccezion fatta per Udanoh), l’atteggiamento di Mitchell pone qualche interrogativo sulla sua voglia di rimanere in maglia bianco-blu. Anzi, bianco-verde.

Paolo Corio