Simone Fontecchio: "Stagione positiva, ero partito nel terzo quintetto..."

Simone Fontecchio: "Stagione positiva, ero partito nel terzo quintetto..."
© foto di ciamillo

Si è chiusa la seconda stagione NBA di Simone Fontecchio che adesso ha davanti a sé una decisione importante da prendere sul suo futuro. Salvo sorprese ci sarà un nuovo accordo per tornare ai Detroit Pistons e a 28 anni essere il leader di una giovane squadra. Nel 2023/24 l'ala azzurra ha iniziato nuovamente con gli Utah Jazz, poi la cessione prima della deadline - in una trade che per altro ha coinvolto i diritti Draft di Gabriele Procida, andati ai Jazz - ai Detroit Pistons. In 16 partite ha trovato ben 30.3 minuti di media nei quali ha messo a referto 15.4 punti a partita con 4.4 rimbalzi e 1.8 assist con un super 42.6% da tre punti. Di seguito l'intervista completa.

Preoccupa l'infortunio. "Ho colpito l'alluce in maniera insolita, l'ho sbattuto forte. Pensavamo fosse solo una botta, probabilmente per questo la comunicazione è stata così poco chiara e diretta. Pensavo di rientrare prima, invece è più lunga del previsto. Ancora tutt'oggi ci combatto, sono interessati un paio di legamenti. Non dovrebbe essere nulla di grave ma qualcosa su cui lavorare per rientrare: è una cosa che è sta durando più a lungo del previsto".

Bilancio sulla sua stagione. "Direi che è stata una stagione molto positiva. Sono molto contento, orgoglioso di quello che ho fatto. Ho iniziato il training camp a Utah nel terzo quintetto, fuori dalla rotazione. Grazie a qualche infortunio, al lavoro svolto e quello che dimostravo ogni giorno in palestra agli allenatori, sono riuscito a sgomitare e ricavarmi questo ruolo. Quando sono stato scambiato ero un giocatore da quintetto dei Jazz. Di questo sono felice, orgoglioso. Penso che la cosa migliore che abbia dimostrato è di essere un giocatore affidabile in qualsiasi contesto. In qualsiasi quintetto riuscivo a rendere e essere affidabile sul campo".

Il passaggio da Utah a Detroit. "La transizione è stata facile, essendo un giocatore che di solito aspetta sul perimetro gli scarichi, sopratutto in NBA devo saper decidere sui closeout, attaccare, tirare o meno. Essere in un contesto con un giocatore come Cunningham che crea tanto dai pick and roll, credo mi abbia aiutato nel dimostrare quello in cui sono capace. A Utah era un po' diverso, è vero, e penso che alla fine per il tipo di ruolo e il numero di palloni che mi arrivavano forse mi sia trovato meglio qui".

Le richieste di Monty Williams e la differenza con Will Hardy a Utah. "Mi sono trovato molto bene con tutti e due. Con Will abbiamo un ottimo rapporto, c'è tanta confidenza, ci sentiamo spesso. C'era un bel rapporto, lì probabilmente avevo un ruolo un po' diverso. Mi veniva chiedere spesso di difendere, magari sul giocatore più pericoloso. E in attacco fare le cose giuste: tirare sugli scarichi, prendere rimbalzi. Anche con Monty mi sono trovato molto bene da subito, sicuramente lui è più esperto facendo questo lavoro da molti anni. Questa attenzione maniacale ai dettagli l'ho apprezzata da subito, non è una cosa comune in NBA. Richiede davvero tanta attenzione, ed è qualcosa che apprezzo tanto e nella quale mi sono trovato subito bene da subito. Monty mi ha dato forse più responsabilità rispetto a Will".

Il pensiero, a un tratto, di non farcela. "Quando sei in quei momenti lì, in cui giochi poco, è difficile pensare positivo. Uno ci prova, lo racconta che deve cercare di essere positivo. Ma quando ci sei dentro non è semplice. Quello che io mi sono messo in testa quest'anno, cominciando la stagione e andando al training camp a Utah, era quello che dicevo scherzando con mia moglie, ovvero di essere una persona zen, "nulla mi deve disturbare". In tal senso l'anno era partito male, con la trade e tutto il resto. Ma soprattutto all'inizio avevo questo atteggiamento, non mi spostava nulla di una virgola. Qualsiasi cosa mi stesse succedendo, dal ruolo a ciò che mi dicevano e soprattutto non mi dicevano. Quello ha pagato, ma come al solito mi sono sempre fatto un grande "mazzo", anche quando non giocavo, e il lavoro paga sempre. Per fortuna il periodo in cui non ho giocato è stato breve, ho avuto presto la mia occasione e sono contento di averla sfruttata".

La Nazionale ancora lontana. "In questo momento sono molto concentrato sul mio piede, onestamente. Voglio risolvere questa cosa, spero il primo possibile. Tornerò presto in Italia e comincerò a lavorare con il fisioterapista, il preparatore e le altre persone che lavorano con me. Una volta risolta questa situazione, penserò alla Nazionale. Ma in questo momento non mi sento di dire nulla. Vedremo, pensavo fosse una cosa breve e invece non è così".

Pronostico Play-In. "New Orleans vs Lakers? Direi Lakers. Sacramento vs Golden State? Golden State. Philadelphia vs Miami? Miami. Chicago vs Atlanta. Credo Chicago, ma non lo so...".

I pensieri il giorno della trade. "Sapevo che c'era qualcosa, c'era stato molto interessamento da parte di altre squadre, avevo parlato con l'agente americano il giorno prima. Quando è successo è stata tosta, più che per me per la mia famiglia. Io non vedo mia figlia da due mesi. Non è stato facile, il momento non è stato semplice. Ma sono un giocatore NBA e perfettamente consapevole che questo fa parte di questo mondo. Nel momento è sempre duro, però alla fine si va avanti. Sono contento di questi due mesi a Detroit, nonostante la lontananza dalla famiglia sono contento di quello che ho fatto in questi mesi."

Come vive la vita negli USA. "La quotidianità è molto simile a quando giocavo in Spagna o Germania. Ho la mia famiglia, mia moglie, mia figlia. Porto a scuola lei, vado a fare allenamento, partite. Gli Stati Uniti sono molto diversi dall'Europa: cultura, abitudine. Parlo molto meno con la mia famiglia, mio padre, mia madre, mio fratello. Con il fuso orario si fa più fatica. Ma a livello di vita, di routine, non è cambiato molto".

Bei momenti nella NBA fino adesso. "Di momenti belli ce ne sono stati tanti. Il canestro della vittoria l'anno scorso contro Golden State in casa, quello sicuramente me lo porterò dietro per sempre. Ma tante cose, anche il mettersi una divisa NBA, calzini NBA, sono cose che ti orgogliscono ogni giorno. O giocare al Madison Square Garden iniziando dal quintetto: sono cose che quando ci pensi ti fanno venire i brividi. Di momenti belli ce ne sono stati tanti, speriamo ce ne siano sempre di più".

L'importanza di farsi trovare pronti è la chiave nella NBA. "Penso che la cosa fondamentale qui sia avere la fortuna di avere un'opportunità e di conseguenza di saperla sfruttare. In più, chiaramente dietro l'opportunità c'è tanto lavoro, preparazione. I miei anni in Europa mi hanno aiutato a creare. Magari ero già stato in queste situazioni, penso a Milano quando nell'ultimo anno ho giocato pochissimo ma ho lavorato tantissimo a porte chiuse individualmente. Trovarmi in queste situazioni mi ha aiutato. Ma ripeto, la cosa più importante qui è avere un'occasione".

Restare a Detroit“Ho amato questi primi due mesi qui. Adoro Detroit. E lavoreremo affinché io rimanga qui a lungo termine"