Urania Milano: nascosto nel Palalido dev’esserci il killer-instinct che serve

17.02.2020 05:00 di Paolo Corio Twitter:    vedi letture
Gherardo Sabatini
Gherardo Sabatini
© foto di uraniabasket.it

Nella parte superiore il Palalido, sempre più festosa e accogliente casa dell’Urania Milano, è tutto nuovo. Nella sua “pancia” sotterranea, al di là degli ammodernamenti, rimane invece quello di una volta: tante porte che si aprono su altrettante stanze destinate a differenti usi. In qualche angolo, magari infilato in un sacco insieme con vecchi palloni d’allenamento, dev’esserci allora quel killer-instinct dell’Olimpia di coach Dan Peterson, antica proprietaria della struttura di piazzale Stuparich. Per i più giovani (che fortunatamente non mancano tra i tifosi dei Wildcats), va specificato che il killer-instinct è stata una delle tante, vincenti immagini regalate ai media dell’epoca dal grande allenatore americano: se il tuo avversario ti sta “sanguinando” davanti, non devi lasciargli scampo ma “azzannare” una volta per tutte la partita (le virgolette sono lì a sottolineare come la metafora vada letta unicamente in senso sportivo).

A dire il vero, sotto di 9 punti (60-51) a metà del terzo quarto, più che “sanguinante” la Tezenis Verona pareva un pugile rintronato dai continui cambi di ritmo e di lato d’attacco di un’Urania magistralmente orchestrata da Gherardo Sabatini (12 punti e 8 assist già all’intervallo, 17 e 10 finali), senza avere la minima idea sul come rimettersi in gioco. E l’errore dei Wildcats è stato appunto quello di non aver sferrato il colpo del ko, consentendo alla più fisica avversaria di rientrare nel match, riprendere il fiato al terzo colpo di gong (60-58 al 30°) e quindi ritrovare la sicurezza su entrambi i lati del campo per chiudere definitivamente la rimonta. Un film dell’incontro ben chiaro nella mente di coach Davide Villa già a pochi minuti dall’ultima sirena: «Nel momento del massimo vantaggio, con Verona che non stava facendo nulla per cambiare l’inerzia, anziché chiuderla continuando sulle cose che avevamo preparato in allenamento, abbiamo iniziato a fare scelte decisamente sbagliate, per esempio prendendo più volte il tiro da 8 metri quando invece c’era un compagno libero che stava tagliando», la sua lucida analisi in sala-stampa. «Con tutto il rispetto per i nostri avversari, è allora una sconfitta più difficile da digerire di altre, perché a un certo punto siamo stati noi a sbagliare tutto come squadra. Come peraltro già accaduto in passato, quando abbiamo fatto scivolar via partite che avevamo già in mano».

Non resta dunque che sguinzagliare i giocatori alla ricerca di quel sacco nell’angolo, con dentro il killer-instinct indispensabile per chiudere una volta per tutte il discorso salvezza e magari giocarsela per qualcosa di più. Perché, dietro la delusione di non aver conquistato due punti preziosi anche per l’auto-stima con la Tezenis, rimane il fatto che l’Urania ha dimostrato ancora una volta di potersela giocare alla pari con squadre più strutturate e ambiziose. Anche con un Andrea Benevelli costretto a rimanere in panchina per un lieve risentimento muscolare e in una serata che, oltre a quello di Sabatini, ha visto brillare solo i tabellini di Nik Raivio (20 punti, con 9/14 al tiro) e Reggie Lynch (17 punti, 6 rimbalzi e soprattutto 6 stoppate, per un’altra ottima prestazione davanti agli occhi della mamma arrivata dagli Usa). Poco, pochissimo invece da tutti gli altri (a parte 8 punti di Negri). Ma vale la pena guardare al bicchiere mezzo pieno, e rivedere al video-tape quei 5 minuti del terzo quarto per non ripeterli più.

Paolo Corio