Bandolero stanco: Elogio di Bob Lienhard e di Cantucky

Bandolero stanco: Elogio di Bob Lienhard e di Cantucky

(di Werther Pedrazzi). Ci sono ancora serate. Lassù nel Cantucky.

L’abbraccio dei ricordi, come quello tra Dan e Valerio.

Nel ricordo di Bob Lienhard, l’omone venuto dal Bronx, figlio di due emigranti tedeschi, finito italiano a tutti gli effetti, anzi, brianzolo finché vita non lo separò dalle colline che guardano il lago di Como.

Una sera, quella dello scorso 3 dicembre, che induce la riflessione, che è l’anticamera della comprensione, dalla quale solo si impara. E che ti lascia dentro qualcosa che prima non avevi, o non sapevi di avere… Una sera, soltanto. Ed esci diverso. Più ricco. Rarità, in questo basket di astinenza.

Tanta gente. Di più. Tutti quelli che avevano conosciuto Bob. Per capire la differenza tra retorica e sentimento. Per dire che nel Cantucky arde ancora la fiamma del basket, anche sotto la cenere, se capita di incontrare un capitano di (s)ventura, barbaro invasore da gelide steppe lontane. Può capitare, capita, in questi tempi di contrabbando… Ed è allora che si capisce, per quanto si possa averla odiata da avversari, che Cantù va salvata! Perché si conferma il territorio italiano a “più alta intensità di basket”…

E poi lui, Bob. Rivederlo e risentirlo dal vivo… Che ancora parla ai suoi compagni…

“Tra noi, in campo, mai un gesto di ‘schizza’…” . Tanto grande e grosso, tanto dolce…

Che ancora ci insegna…

“Sono matto? Contento di esserlo, così non posso diventarlo”.

“Il mio coraggio? Quello di dire: ho sbagliato”.

“Il mio tesoro? La mia parola”.

“La mia vita? Un sorriso”.

Troppo breve, Bob. Grazie per quel lampo che ci ha illuminato il cuore.