Il metro arbitrale, questo sconosciuto di Werther Pedrazzi

Il metro arbitrale, questo sconosciuto di Werther Pedrazzi

(di Werther Pedrazzi). Alè… Dai che ci divertiamo. Si fa per dire.. Come con una vecchia battuta di Ridolini, ritorna la querelle arbitrale.

Il tema del contendere: Milano passa a Trieste, di 4 punti, tirando 27 tiri liberi contro gli 8 dei padroni di casa. E infuria la sala stampa. Tuona l’amministratore delegato triestino, intonando il vecchio ritornello (“Milano non ha bisogno di certi favori”), risponde l’allenatore meneghino, secondo le moderne intonazioni contemporanee (“E allora, i falli non fischiati a Gudaitis?). Forse avrebbe auspicato un bel 8 a 37?

Sappiamo, bene, che intervenire sulle questioni nelle quali prevalgono le ragioni (soggettive e tendenziose) del tifo è come infilare la mano in un nido di vespe, o più semplicemente il dito tra moglie e marito. Ma noi, figli del Bandolero e fratelli di Calimero, ce ne freghiamo. Tentiamo e tenteremo sempre di razionalizzare. Partendo dai fatti, mica pugnette, secondo il dettato del Palmiro Cangeni (Paolo Cevoli), il famoso assessore alle Attività varie ed eventuali del Comune di Roncofritto, del quale ci dichiariamo nipoti elettivi.

Il fatto, dunque: 8 tiri liberi contro 27. Ci sta, non ci sta, ci potrebbe stare?

Un postulato e due premesse.

Postulato: il basket, lo sport in generale, non è pienamente democratico. Nel senso che, se tutti hanno gli stessi doveri, non tutti hanno gli stessi diritti: Forza e Talento vanno tutelati.

Prima premessa: chi ha giocato o allenato sa che spesso quando si tratta di affrontare avversari, o squadre, atleticamente e tecnicamente molto più forti, viene raccomandato di opporsi, se non si riesce con le buone, anche con le cattive.

Seconda premessa, conseguenza della prima: il famoso metro arbitrale e la sua, sempre invocata ma spesso presunta, coerenza. Che non può assolutamente tradursi nel tutelare i forti quando attaccano ed infierire sui più deboli quando si difendono. Perché in questo caso sarebbe un metro a senso unico. Mentre  a monte di tutto, nello sport, c’è un valore etico: la lealtà. Quella che determina che sia soltanto il campo a decidere vittoria o sconfitta. Ma cos’è il metro arbitrale? E’ quella cosa che si conquista “centimetro per centimetro”, attimo per attimo.  Vale a dire: un arbitro deve avere sempre in mente l’ultimo fischio. Se in attacco hai tutelato l’eletto campione dalla spintarella difensiva del peones, la stessa spintarella dovrai sanzionare anche quando sarà il campione a difendere ed il peones ad attaccare.  Nel caso in oggetto stiamo parlando del triplo (abbondante) di tiri liberi concessi ad una squadra. Non intendiamo sottintendere tesi alcuna: può essere che questa dimensione sia l’esatta misura della superiorità di Milano e delle difficoltà di Trieste nell’affrontarla. Può essere. Forse. Oppure, semplicemente può essere che a Trieste, con Begnis-Di Francesco-Galasso, sia andato in onda il remake di “Tre uomini in barca”, capolavoro di  humor inglese ad opera di Jerome K. Jerome…

Poiché siamo in tema arbitrale…

Ci è giunta all’orecchio che la Legabasket sia intenzionata ad avocare a se la gestione arbitrale. Prendetela, per il momento, con il beneficio del dubbio: verificheremo, approfondiremo. Nel caso, sarebbe un’aberrazione giuridica: il controllato che diventa controllore! Anche perché, e questo se non lo sapete adesso ve lo diciamo, la Legabasket è come la fattoria degli animali di George Orwell in 1984, dove tutti sono uguali ma qualcuno è più uguale degli altri… Un modello (?) che il nostro basket ha già sperimentato (la Baskettopoli recente, vi dice niente al proposito?) e cacciato dalla porta. Ci sembra un po’ troppo presto perché qualcuno cerchi di farla rientrare dalla finestra…

Werther Pedrazzi