Davide Moretti e il college basket: “Nulla è paragonabile al Torneo NCAA”

Fonte: Mirco Melloni - La Stampa
Davide Moretti e il college basket: “Nulla è paragonabile al Torneo NCAA”

“Quando la mia giornata di studio e allenamento finisce, con sette ore di fuso orario è troppo tardi per avere contatti con la famiglia a casa” dice Davide, play-guardia arrivato ai Red Raiders dopo essere stato protagonista in A2 con Treviso. “Ma l’avevo messo in conto, all’inizio è stato difficile, ma per l’uomo e il giocatore, questa esperienza non ha prezzo”.  

 

Cosa è rimasto dopo la sconfitta nella finale dell’East Regional contro Villanova?  

“Un po’ di amarezza, perché le Final Four erano ad un passo, ma anche tanto orgoglio: Texas Tech non si era mai spinta così avanti nel Torneo”.  

 

Come si torna alla vita di tutti i giorni dopo la centrifuga di emozioni della March Madness e del Torneo NCAA?  

“Fa un certo effetto, sono reduce da venti giorni lontani da tutto ciò che avevo vissuto in precedenza. Tre settimane emozionanti, eccitanti, intense, ricordo che nei tempi morti in campo, mi perdevo con lo sguardo sulle tribune, dove c’erano anche 20.000 persone. Questo scenario rappresenta il motivo per cui sono venuto negli States”.  

 

Esiste qualcosa che possa preparare un atleta così giovane ad emozioni del genere?  

“L’allenamento fa sì che non ti tremino le gambe: il lavoro quotidiano genera fiducia nei propri mezzi”.  

 

Lezioni e allenamenti, aule universitarie e parquet: com’è la vita nel college basket?  

“L’adattamento non è stato semplice, innanzitutto per i ritmi: qui si pranza anche prima di mezzogiorno e si cena alle 5 del pomeriggio. Nelle prime settimane avevo avuto qualche difficoltà nella comprensione delle lezioni in inglese, ma con la pratica ho risolto ogni problema. La mia è una giornata intensa: esco dal mio appartamento alle 7 e rientro dopo le 20, la palestra è diventata la mia seconda casa. Ho aggiunto sette chili e mezzo di massa muscolare, sono un altro giocatore in termini di reattività, esplosività, ma anche per l’abitudine ad allenarmi con atleti d’elite. E poi c’è la difesa, da qui è passato il mitico e durissimo Bobby Knight, si sente la sua eredità: se non difendi, non giochi”.  

 

Soppesando difficoltà e qualità dell’esperienza, consiglierebbe ad un altro giocatore italiano di imitarla e volare negli Stati Uniti?  

“In presenza di una borsa di studio, non ho alcun dubbio: sì. Se mio fratello Niccolò, che ha 14 anni e gioca a Bologna-San Lazzaro, avrà la mia stessa opportunità, lo spingerò a prendere il primo volo, anche perché potrebbe diventare più bravo di me. Convincerlo non sarà un grande sforzo, ha visto le strutture qui ed è rimasto affascinato”.  

 

Moretti lascerà il college dopo due anni, come fece Amedeo Della Valle a Ohio State, per diventare professionista?  

“Vedremo anno dopo anno, di sicuro resterò qui almeno un’altra stagione, ma non escludo di completare i quattro anni, laureandomi in scienze umane”.  

 

Se potesse scegliere se vivere tra Italia e Stati Uniti, cosa preferirebbe?  

“Qui sto bene, si respira una passione per lo sport ineguagliabile, ma l’Italia è un’altra cosa”.  

 

La vedremo in azzurro in estate?  

“Mi auguro di poter disputare gli Europei Under 20, sarà l’ultima occasione per la mia annata, sono curioso di misurarmi con il basket europeo dopo quest’anno negli States”.  

 

Nel 2019 Moretti punterà a diventare il primo giocatore italiano al 100% a disputare le Final Four: ma chi vince l’atto finale 2018, sabato e lunedì a San Antonio?  

“Credo Villanova, e non lo dico perché ci ha eliminato. Noi siamo già concentrati sull’anno prossimo: abbiamo già fatto la storia di Texas Tech, ma non ci basta”.