La comunicazione insufficiente (e sparagnina) della pallacanestro italiana

La comunicazione insufficiente (e sparagnina) della pallacanestro italiana

(di Giorgio Gandolfi). Una squadra di basket, indipendentemente dal campionato in cui gioca, deve essere considerata come una piccola, media o grande impresa, come ho già scritto. Come tale deve avere, oltre ad un responsabile marketing (vero), anche un addetto alla comunicazione (vero). Ma in Italia, soprattutto, ma non solo, la comunicazione è intesa in senso restrittivo: si comunicano notizie inerenti la squadra, le partite, gli eventi, i partner (non mi piace la parola sponsor) e poco più. Ma comunicare dovrebbe avere un respiro molto più ampio per raggiungere chi non è interessato al nostro sport. Si devono comunicare i valori del basket (ma senza porsi in antitesi al calcio od al volley) e delle persone di successo che gravitano attorno alla squadra o che sono personaggi di rilievo nel nostro paese, e che amano o hanno giocato a basket, un esempio è Mario Draghi, Presidente della Banca Centrale Europea.

In questo modo si “comunicherebbero ”i valori positivi” del basket e si “posizionerebbe” ad un alto livello il “prodotto basket” nella considerazione di chi è marginalmente interessato o non lo è, siano esse singole persone, famiglie od aziende. In breve, si creerebbe e stimolerebbe il loro interesse verso il nostro sport. Si pensa esclusivamente ad andare sulle pagine sportive dei giornali, che hanno la loro importanza, ma sono letti dalle stesse persone, ma non raggiungere altri media non sportivi, che hanno un maggior impatto sul pubblico. Il più alto livello di comunicazione l’ho toccato con mano qualche anno fa. Per alcuni giorni sono stato ospite degli Orlando Magic della NBA ed ho visitato diversi loro uffici, tra cui quello della comunicazione e l’aspetto che mi ha più colpito è stato un loro protocollo che prevedeva linee guida di come affrontare e comunicare all’esterno episodi negativi che potevano accadere al club ed alla squadra per limitarne l’impatto.

Anche questa è comunicazione, naturalmente portata al top. Infine credo che siamo molto distanti anche nella comunicazione digitale nei confronti dei “clienti”, come chiamo i tifosi, cioè quelli che acquistano il “prodotto basket”, biglietti e abbonamenti, merchandising, abbonamenti TV digitali. La comunicazione con loro è indiretta, tramite il sito web della società o della Lega in cui gioca una squadra o tramite i giornali. Al contrario, dovrebbe essere creato un rapporto diretto con il singolo “cliente” o con i potenziali nuovi con una app e/o una piattaforma digitale che “comunichi” direttamente con il singolo “cliente”, con contenuti diversi dal sito web, che li fidelizzi e che debba essere vista ed usufruita dal club come un investimento per un ritorno, sia nei confronti dei “clienti”, che anche dei partner, ma con una strategia ben precisa a medio e lungo termine. Mentre ora la comunicazione è vista come un costo e che si è costretti a fare, nulla di più sbagliato.

Giorgio Gandolfi