Olimpia Milano, riprovarci è un dovere, ma non chiamiamola rivoluzione

A poche ore dalla presentazione ufficiale l'analisi del roster dei campioni d'Italia
27.08.2014 11:32 di Alessandro Luigi Maggi   vedi letture
Olimpia Milano, riprovarci è un dovere, ma non chiamiamola rivoluzione

Milano lavora, e Milano si presenta. Diciotto anni dopo, con uno scudetto sul petto. E per fare un passo in avanti, ne fa uno indietro. Chiaro e lampante, sono parole per spiegare un concetto. Dopo la «grande illusione» firmata Sergio Scariolo, al termine di un biennio avaro (infine, fallimentare) di soddisfazioni, nella scorsa estate la società mutò direzione. Nomi? No, giocatori. Basta perdersi nei Bourousis, Fotsis, Hairston e Cook. Dentro gente affamata, lontana dai riflettori. Sostanza. Risultato finale sotto gli occhi di tutti. Perché c’è uno scudetto, ma anche una stagione regolare da record, e un’Eurolega da big assoluta. Il tutto, con un risultato che mancava dai tempi delle “scarpette rosse” anni ’80: il pubblico, quello vero. Luca Banchi, ovvio, come prima idea, e centro del tutto. Un anno dopo, siamo ad un mercato nuovamente capace di far sognare. Ma, c’è un ma: trattasi di rafforzamento, non di rivoluzione. Perché quando il quintetto, in sostanza, perde un solo uomo (Langford), nel basket europeo si parla di continuità. Eccola dunque la nuova Milano, ruolo per ruolo, con una sensazione: con i “se” e con i “ma”, che nello sport hanno una valenza, il biancorosso è ancora più forte che in passato.

 

PLAY

Una perdita, quella sì, pesante, al capitolo “combo”. Curtis Jerrells. Fondamentale, con il suo istinto, nella crescita delle top16. Secondario nei playoff, infinito nella serie finale, tanto da essere per molti il reale MVP. Scelta, sua, prendere altre strade. Dentro Ragland, altro giocatore, altra idea. Dentro Meacham, perché DH12, oggi nuovamente DH23, ha stravolto ogni idea di mercato, come vedremo.

 

GUARDIA

Questa doveva essere la casella per Hackett. Nuovamente affiancato da un “portatore” abbinabile, come nella Siena dell’ultimo scudetto. La squalifica ha comportato ripensamenti, e allora ecco Broocks per Langford. Un classe 1989 per un classe 1983, e questo ha già un senso. Un giocatore che ha conosciuto l’Nba, vera, per uno che ha scritto pagine su pagine in Europa. Perdere il miglior marcatore di Eurolega, per una squadra italiana, è di fatto cosa gravosa. Ma ci sono due Langford nella Milano che è stata. Il trascinatore pre infortunio, l’elemento aggiuntivo del rientro, in un gioco offensivo sempre più incentrato su Alessandro Gentile. Ecco perché Milano voleva inizialmente qualcosa di diverso. Si è ritornati all’origine, puntando sul realizzatore: il potenziale è immenso, servirà il giusto ambientamento, soprattutto mentale (servì anche a Bob McAdoo, e il paragone si ferma qui). Poi c’è Bruno Cerella. Una garanzia.

 

“3”

Tutto invariato, d’altronde da subito abbiamo parlato di continuità sostanziale. Alessandro Gentile, classe 1992, è un giocatore in crescita. Il suo finale di stagione, da campione vero, deve essere letto in un quadro stagionale che lo ha anche visto ai margini, in vari momenti. Avere un giocatore in grado di mantenere certi livelli, quei livelli, per otto mesi (o anche qualcosa meno), significa avere un netto innalzamento di valore di squadra. E’ l’anno del capitano, e al suo fianco un David Moss sempre più specialista: un anno dopo, ancora più padrone dei suoi compiti.

 

“4”

O tutto o niente. Come d’abitudine. 30 gennaio 2014. Ea7-Fenerbahce. Obradovic rimane senza centri ad inizio secondo quarto, e punta tutto sulla doppia ala con Linas Kleiza sotto canestro. Milano vince, ma il lituano ne mette 26. Luca Banchi esce con tanti punti interrogativi. La doppia ala è un suo credo ma, in quella gara, come in tutta la stagione, Kangur e Cj Wallace non riescono a dare forma all’idea. Nasce tutto lì. “Un’idea” tra le tante, perché inizialmente Milano lavorava sulla ricerca di un “atleta”, diventata poi “la scelta”. Poi, Nicolò Melli che, c’è da giurarlo, è al momento tutto tranne che un’alternativa. Classe 1991, con un controllo del corpo in fase difensiva che può solo migliore: anche per lui come per Gentile, il meglio deve ancora venire.

 

CENTRO

Samardo Samuels. Classe 1989. Piaccia o non piaccia (Batiste? Un po’ troppo come paragone), un giocatore in crescita, destinato a diventare un nome dominante in Europa. Dietro Shawn James. Atleta sì, ma più “educato” di Lawal. E con un biennale. Come a dire: «Sì, Samuels tra un anno andrà altrove». Si guadagni, questo altrove, con una stagione da re.

 

CONSIDERAZIONI FINALI

Il basket, più di altri sport, è questione di “amalgama”, quella che un presidente calcistico cercava sul mercato. Un anno fa il gioco riuscì. Un anno dopo ci si può riprovare, con ingredienti infine superiori. In Italia, ma anche in Europa: solo Cska e le spagnole, al momento, possono dirsi superiori. E l’Eurolega, si sa, si decide tutta in 48 ore. L’importante, è esserci. E per chi ci è andato vicino, riprovarci è un dovere.