NBA - Chi sarà il Coach of the Year del campionato 2016-17? In pole D'Antoni

NBA - Chi sarà il Coach of the Year del campionato 2016-17? In pole D'Antoni

Pur dall'alto del suo record 66-14 con una striscia aperta di 14 vittorie, Steve Kerr sa che non è eliggibile per il titolo di Coach of the Year perché le ferree leggi della NBA non ammettono il coach vincente della stagione precedente (in cui Kerr condusse Golden State al record 73-9). Chi sarà il vincitore del campionato 2016-17?

Erik Spoelstra merita una citazione d'apertura, avendo ribaltato il trend negativo degli Heat, che erano ultimi assoluti a Natale e 11-30 a metà gennaio, e adesso possono sognare i playoff e un record di 41-41 ricostruendo la squadra intorno a Dragic e Whiteside, senza dimenticare il ritrovato Dion Waiters.

Oppure Scott Brooks, che ha preso gli inconcludenti Washington Wizards e li ha trascinati a giocarsi per lungo tempo dopo l'All Star Game il podio della Eastern Conference col 48-32 di oggi. Eppure era partito con un 6-18 che sembrava segnarne il destino anticipatamente... prima della maturazione di Wall, Beal e di un certo Oubre.

L'usato sicuro è Gregg Popovich: accreditato di range di 57 vittorie, il coach degli Spurs è a due gare dal termine 61-19, avendo ottenuto grande contributo dal "vecchietto" Ginobili, sull'asse Leonard-Aldridge-Gasol e su due giocatori di sistema come Dewayne Dedmond e Jonathon Simmons. Ineccepibile.

Non si può negare una nomination all'uomo che ha fatto riassaporare ai Celtics il brivido dell'alta quota (primi a Est per un paio di giorni). Brad Stevens ha costruito l'attacco su un ometto come Isaiah Thomas, ha resistito alla catena di infortuni, ha dato un gioco alla squadra, un piccolo marchio di fabbrica.

Quin Snyder ha portato alla maturità liceale gli Utah Jazz, 49-31 quarti o quinti scambiandosi la posizione con i Clippers, con le sue scelte chiare come Rudy Gobert o gli acquisti dell'estate George Hill, Joe Johnson e Boris Diaw mai messi in discussione.

Ma il nostro favorito non può essere che Mike D'Antoni, che a Houston ha fatto un capolavoro ridisegnando ruolo e carriera a un già grande come James Harden. Partito da "perdente" dopo Knicks e Lakers e partito senza Dwight Howard nessuno accreditava i Rockets di ripetere il 41-41 del 2015-16. E invece siamo oggi 54-26 e la continuità di rendimento del gruppo è tale che nessuno grida più al miracolo.