L'ora del Confessore: Warriors, I want to take you higher!

L'ora del Confessore: Warriors, I want to take you higher!

Mio padre, è nato in un piccolo paese della Calabria, poche centinaia di metri sul livello del Mar Tirreno, che offre una vista vietata ai cardiopatici sulla piccola insenatura di Praia a Mare. Nel momento di massima espansione urbana, il paesino contava meno di mille abitanti. Con uno di questi, il figlio del proprietario dell’unico bar del paese, ci giocavo a biliardino nelle giornate estive di ritorno dal mare. Tenetevi buono quanto vi ho detto, perché ritornerà d’attualità insieme a Stephen Curry e Mark Eitzel, le coste della California e il mio matrimonio. E non dite che le cose accadono per caso.

Quando la tua, è una famiglia con una robusta percentuale di parenti che sono emigrati in giro per il mondo, ed è di origini meridionali, sai bene che il giorno del tuo matrimonio, diventa, invece della tua di festa, quella dell’intera comunità che porta il tuo cognome, e non puoi farci niente. Stai fermo lì, e sorridi. E’ stato in quell’occasione che il cugino anziano, in un momento di pausa tra i festeggiamenti mi rivela che il mio vecchio amico di giocate estive al biliardino, si era trasferito in America, ovviamente, sposato con una donna figlia di emigranti calabresi che negli Stati Uniti, ovviamente, aveva fatto fortuna.

Dato che nulla accade per caso, il cugino anziano che sa anche dove vai in viaggio di nozze, perché nulla è tenuto privato il giorno del tuo matrimonio, mi passa un biglietto con indirizzo e civico dell’uomo in questione, recita così: 353 Columbus Ave. San Francisco. Ho preso una sedia e mi sono seduto pensando che il mio vecchio amico di giochi estivi, abitava a pochi metri da quello che è stato il centro propulsivo della Beat Generation. Trovate voi, prove più credibili dell’esistenza divina se ne siete capaci.

Fast forward, siamo alla fine di Novembre 2015, io e mio figlio Gabriele saltiamo sul divano per le giocate di Stephen Curry contro gli Heat, lui (mio figlio, intendo), cercherà di replicare quanto visto in allenamento (risultati scarsi, va detto).
Sono convinto da sempre, che i grandi successi sportivi sono caratterizzati da una serie coerente di affinità che spaziano dall’umanità al talento. Il posto giusto per l’uomo giusto insomma, perché altrove non sarebbe la stessa cosa, come ho scritto prima, nulla accade per caso. Per questo Stephen Curry appartiene alla baia, per questo il suo step back con conseguente rilascio del pallone, sono nella sua naturalezza, la rivincita del talento sul muscolo. E’ poetry in motion, vicina ai movimenti artistici della città: I Grateful Dead nella loro residenza al 780 di Haight Asbury (citofonare Bill Walton sull’argomento), la letteratura beat che arriva fino a Kurt Vonnegut e i Counting Crows, per mettere insieme diversi esempi di cosa sia stata capace di ispirare l’aria della baia.

I Warriors, quest’anno sono tenuti insieme dal collante speciale di un Coach, che la scorsa estate è entrato dalla parte giusta delle sliding doors, (l’altra, ha portato il povero Derek Fisher nella guerriglia urbana di NY), il compito di Steve Kerr è quello di rendere il “basketball beat” di Golden State meno hippy e più costante, sedare l’anarchia emotiva degli Splash brothers in favore di metodologie comportamentali più sicure.

Unire l’estro alla consistenza, rendere la franchigia vincente.

Lavorare per costruire la giusta mentalità, deve necessariamente essere il primo fondamentale da eseguire per mettere insieme l’entusiasmo necessario, che porterà i Warriors a giocare nella nuova arena di Mission Bay. Il progetto interamente finanziato da fondi privati partirà nella stagione 2017/2018, riportando il basket in città dopo più di 40 anni.

Scrivo queste righe pochi minuti dopo la fine della gara che ha visto i Warriors vincere a Chicago contro i Bulls, legittimando quindi il titolo di franchigia più vincente della lega con un record di 17 vinte e 2 perse, la sensazione è che questo potrebbe essere l’anno in cui le promesse diventano realtà.

Settembre 2002, io e mia moglie siamo a San Francisco, fermi all’incrocio tra Columbus Ave. e Vallejo Street, guardiamo dall’altra parte della strada, riconosco l’amico delle giocate estive che osserva in nostra direzione, ci riconosciamo e ci abbracciamo, mi parla della sua fortuna e del percorso di vita fatto da quando ha lasciato la Calabria. Entusiamo e ricordi, i giri per la città con la FIAT 600 decappottabile dai sedili in legno, e l’emozione di trovarsi ad acquistare “The Runaway Soul” di Harold Broadkey, nella libreria City Lights.

Le luci della baia, le stesse che ora alimentano l’entusiasmo nella Oracle Arena. Perché nulla accade per caso.

San Francisco playlist: https://play.spotify.com/user/amedeoconfessore/playlist/4ZAKtvud6qj1YW2u4VXefN