Il Maccabi Tel Aviv raccontato da Sarunas Jasikevicius

18.07.2017 16:45 di  Alessandro Palermo   vedi letture
foto youtube
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© foto di Jasikevicius in maglia Maccabi

Per gli amanti della palla a spicchi, Sarunas Jasikevicius non ha certo bisogno di presentazioni. L'ex stella della Nazionale lituana, attualmente head coach allo Zalgiris Kaunas, si colloca sicuramente nella lista immaginaria dei giocatori europei più forti di tutti i tempi, forse persino sul podio se stringiamo il raggio ai fenomeni che hanno partecipato all'Eurolega dal 2000 ad oggi. Ma lasciamo l'arduo compito agli amanti delle classifiche, perché scartare gente come il lituano, Anthony Parker, Theo Papaloukas, Dimitris Diamantidis, Juan Carlos Navarro, Milos Teodosic e Vassilis Spanoulis, non deve essere impresa semplice.

La carriera leggendaria di Jasikevicius è decollata in Spagna, con il Barcellona, con cui il nativo di Kaunas ha vinto un'Eurolega nel 2003. Ma per la consacrazione, Tel Aviv, è stata la tappa più importante per il giocatore. Talmente importante che è valsa a "Jasi" la chiamata dalla NBA, sponda Indiana Pacers, con un contratto da 12 milioni di dollari.

Dopo la conquista dell'oro agli Europei in Svezia nel 2003 (MVP del torneo), Sarunas si trasferisce al Maccabi Tel Aviv, vincendo tutto quello che c'era da vincere. In due stagioni alza ben 6 trofei, compiendo per due volte il "triplete" (Eurolega, campionato israeliano e coppa nazionale). In Israele vince dunque due Euroleghe consecutive, che diventano tre contando anche quella con il Barça, venendo eletto miglior giocatore della manifestazione nel 2005, prima del grande salto oltreoceano.

L'ANEDDOTO
Pochi però sanno quanto la scelta di Jasikevicius sia stata difficile da prendere per il playmaker classe '76, perplesso sulla destinazione Tel Aviv dopo il triennio in Catalogna. «Dopo l'addio al Barça - racconta il giocatore nella sua biografia "Vincere non basta. La mia vita, il mio basket" - la mia fu un'estate spesa senza la terra sotto i piedi, con un solo sentimento dominante: la tristezza. Non volevo andarmene, non volevo lasciare la città che avevo così tanto voluto e amato, e dove ancora oggi ho amici, affetti e anche affari [...]. Non sapevo molto di Israele, di come si viveva da quelle parti, ma per fortuna uno dei miei compagni lituani, Rimas Kaukenas, aveva giocato lì qualche anno prima (con l'Hapoel Galil Elyon) e me ne aveva parlato tanto bene. Mi aveva soprattutto descritto il Maccabi come "la squadra della nazione"».

IL CORTEGGIAMENTO
Jasikevicius - sempre nella sua biografia scritta dal giornalista Pietro Scibetta per Add Editore - racconta poi il corteggiamento degli israeliani, che lo volevano a tutti i costi, a partire da un certo David Blatt: «Il Maccabi mi stava dietro - prosegue Sarunas - parlavo al telefono con David Blatt, un eccellente reclutatore, un grande oratore che dice sempre la cosa giusta, quella che vuoi sentire per essere convinto. E mi convinse. La decisione di firmare fu un sollievo, e avvenne appena prima dell'inizio degli Europei».

LE DIFFICOLTA' INIZIALI
Ma non fu tutto rose e fiori, specialmente con i tifosi della sua nuova squadra, diversi dagli altri secondo Jasikevicius: «Quando avevo firmato c'era curiosità intorno a me come nuovo giocatore del Maccabi, ma dopo l'oro con la Lituania cambiò tutto. "Puoi prometterci l'Eurolega?", era questo che mi chiedevano tutti, ma chi avrebbe potuto rispondere di sì a una domanda del genere? A dire la verità le prime due settimane a Tel Aviv non furono facilissime. Intanto perché una volta tornato al lavoro realizzai di non essere più un giocatore del Barcellona, e quel velo di tristezza tornò ad annebbiarmi la mente: non mi presentai benissimo, perché andai alla prima conferenza stampa indossando una maglietta che ricordava i colori sociali dell'Hapoel Tel Aviv, l'altra squadra della città. che ovviamente quelli del Maccabi detestavano. Per questa cosa mi risero dietro per mesi. Poi non mi piaceva l'appartamento dove mi avevano sistemato, e si rifiutarono di cambiarmelo. La gente era molto pressante, dovunque,e aveva questa strana abitudine di fissarmi. Erano tutte cose che avrei dovuto metabolizzare, perché avrei scoperto che in realtà quel modo di "assillare" i giocatori non era altro che una dimostrazione di amore incondizionato. A Tel Aviv le persone appena ti conoscono ti accolgono in casa, come uno di famiglia. Per uno riservato come me non era il massimo, a volte ho avuto anche da discutere con i fotografi che mi seguivano in maniera non proprio amichevole. Il Maccabi era esattamente come Blatt me lo aveva descritto».
 

A cura di Alessandro Palermo.
Tratto dal libro "Vincere non basta. La mia vita, il mio basket" di Sarunas Jasikevicius, scritto da Pietro Scibetta.