Geas, coach Bacchini: «Lo scudetto U19 è una gioia immensa»

L'assistant coach delle giovanili ed head coach della prima squadra racconta le emozioni negative e positive che hanno coinvolto il club lombardo: «Il basket? Una passione da cui non si guarisce»
24.04.2014 09:57 di Matteo Marrello Twitter:    vedi letture
Filippo Bacchini
Filippo Bacchini

La vita si dice sia fatta a scale. C’è chi le scende, c’è chi le sale. Chi convive con il  basket e con la sua velocità però è spesso costretto a prendere l’ascensore per stare al passo con le emozioni che questo sport regala ogni giorno

È il caso di coach Filippo Bacchini, head coach del Geas Sesto San Giovanni nella Serie A2 Femminile, che dopo aver dominato il girone A, si è visto sfilare di mano da Torino la finale per la promozione. Tempo per piangere zero, perché a Santarcangelo di Romagna vanno in scena le finali nazionali U19, dove le ragazze del Geas sotto la guida di Cinzia Zanotti con Bacchini come assistente, conquistano il 16° titolo giovanile della società. Per molte di loro e per il loro staff si è passati quindi dalle lacrime all’euforia in soli 6 giorni. Tutto questo però è potuto accadere solo con grande sacrificio e sudore della fronte. Un segnale forte, dimostrazione chiara  che sui giovani si può e si deve lavorare.

A coach Bacchini abbiamo chiesto qualche dettaglio in più su questo tourbillon di emozioni e sul lavoro che sta dietro ad una vittoria come questa.

Coach, da tre anni lo scudetto giovanile femminile è un affare tra  Sesto San Giovanni e Venezia, ma in questa edizione abbiamo  visto buoni roster anche di altre squadre. C’è una squadra che l’ha maggiormente colpita?

«Le 4 squadre arrivate in semifinale sono tutte ottime squadre con caratteristiche diverse; a queste aggiungerei Schio che ha fatto delle ottime finali. Tutte le 8 squadre mi sono sembrate ben preparate, un plauso quindi va anche a tutti gli allenatori».

Quali sono le vostre peculiarità nel lavoro in palestra?

«Il lavoro in palestra è principalmente orientato alla crescita individuale a 360 gradi quindi una cura particolare del miglioramento fisico, tecnico e anche tattico delle singole giocatrici; e questo grazie alla qualità degli staff tecnici e medici che lavorano su tutti i gruppi. Da noi non c’è nessuna differenza di trattamento tra la prima squadra e i gruppi giovanili; ovviamente cambia la tipologia di lavoro con la maturazione delle ragazze».

Facciamo un piccolo passo indietro. Il Geas arrivava a queste Finali U19 con ben sette giocatrici che hanno vissuto  la delusione della prima squadra. Come e quanto questo evento può aver influito sulle menti delle vostre ragazze?

«Il finale di stagione dell’A2 è un tasto dolente, la ferita per quanto mi riguarda è ancora troppo fresca. Le ragazze però hanno reagito benissimo, sono state brave a resettare tutto e  trasformare una delusione in una grande voglia di riscatto».

Sul piano strettamente personale lei come ha vissuto la delusione per la prima squadra e la gioia dello scudetto giovanile?

«La delusione per la sconfitta non l’ho ancora metabolizzata, ci vorrà del tempo perché abbiamo sprecato un’occasione forse unica e con un’altra formula avremmo già festeggiato da un mese. Lo scudetto è una gioia immensa che spero possa abbreviare la mia “convalescenza”».

Considera più facile rialzarsi dopo un ko o cadere dopo un trionfo?

«Rialzarsi dopo un ko, senza ombra di dubbio».

Quale è stato momento più duro di queste finali?

«Mah, difficile da dire…forse l’ultimo quarto della semifinale con la Ginnastica Triestina, non tanto per il risultato ma per la condizione fisica, La squadra era parecchio stanca e c’era un po’ di preoccupazione sulla riserva di energie per la finale».

Se le diciamo vittoria del Geas nel segno di Francesca Gambarini e Cecilia Zandalasini cosa ci risponde?

«Di solito non parlo delle singole, credo che sia stata una vittoria di squadra».

Lei è padre di una bambina, cosa consiglierebbe ad una ragazza che vuole avvicinarsi alla pallacanestro?

«Di stare attenta…sta avvicinandosi allo sport più bello del mondo e potrebbe essere contagiata da quella “malattia” che si chiama passione da cui non si guarisce; io ne sono malato da quando avevo 8 anni e non do segni di miglioramento…».