L’architetto con il vizio del basket che a 56 anni gioca in Prima divisione

Pier Giorgio Pascolati simbolo della pallacanestro astigiana
Fonte: la stampa
L’architetto con il vizio del basket che a 56 anni gioca in Prima divisione

Enzo Armando e La Stampa edizione di Asti ci raccontano una storia di basket diversa, ma emozionante come quelle dei grandi campioni.

"Appartiene insieme a Paolo Arucci e a Paolo Pinto alla «golden age» della pallacanestro astigiana. Pier Giorgio Pascolati però il vizio del basket non l’ha perso. A 56 anni (è nato il 10 marzo del 1960) gioca nella Virtus in Prima divisione. Lunedì sera la sua squadra ha perso contro il Monferrato per 34-49 al palazzetto dello sport di via Gerbi su quel parquet che 30 anni lo vedeva protagonista di accesissimi derby con la maglia dell’Aba contro l’Astense. Pascolati è un professionista affermato, con uno studio d’architetto in piazza Cattedrale avviatissimo. A giocare a basket, ruolo ala-grande, ha cominciato a 14 anni, avendo come «maestro» Ugo Tartarone. A 18 anni lo voleva la Chinamartini Torino, l’ex Saclà, in A1 «ma il mio presidente Paolo Cotto non mi ha lasciato andare. Le ultime mie tre stagioni le ho giocate ad Alba nel Giornalino in serie C. A 29 anni ho detto basta».

A 30 anni decide di dedicarsi al ciclismo, una passione che dura per 10 anni: poi un’operazione all’anca lo costringe a smettere dal correre in bici. Così nel 2002 riprende la palla a spicchi in mano con la Virtus.

Il basket è il suo primo amore. Non le è ancora scappata la voglia di giocare? 

«Ho iniziato che avevo 14 anni e sono stato quasi subito inserito anche in prima squadra. Facevo i doppi allenamenti e due partite a settimana».

Aveva un giocatore che ammirava più degli altri?

«Sono sempre stato affascinato dalla figura di Pier Luigi Marzorati perché come me era uno studente universitario: mi ritrovavo abbastanza in lui. Dedicavo al basket parecchio tempo ma mi interessava anche seguire architettura».

A 56 anni continua a giocare. Perché? 

«Ho sempre considerato lo sport come una palestra di vita. Attraverso lo sport impari cos’è la fatica, conosci l’esaltazione per la vittoria e l’amarezza di una sconfitta. Sono tutte emozioni che ritrovi poi nella vita quotidiana. I giovani non hanno più questo tipo di approccio: per loro è solo un gioco, una pausa ricreativa. Si è creata una frattura tra noi della mia generazione e quelli che dovrebbero sostituirci per come concepiamo il basket».

Lei però gioca insieme a suo figlio Edoardo di 21 anni. 

«E’ una bella emozione, gratificante. Da padre allevi un figlio e cerchi di trasmettergli determinati valori e dargli un’educazione. Attraverso lo sport hai un altro passaggio e puoi insegnargli qualcosa di basket. Poi c’è la possibilità di condividere le stesse passioni e stare due ore insieme».

Lei è il progettista per la Fondazione «Ayrton Senna» della mostra che si sta tenendo a Torino nell’atelier di Alessandro Del Piero. Come nascono questi allestimenti? 

«Cerco di trasmettere un’emozione. Non faccio fatica perché è il filo conduttore della mia professione, che trovo sia una forma d’arte e di creatività coinvolgente. Questo vale per ogni mio lavoro. In più, quando devo far capire agli altri chi sia stato l’uomo Senna, devo creare una suggestione, un ricordo. La gente deve uscire impregnata di questo messaggio».