Il piccolo Steph ce l’ha fatta e nel mondo impazza la Curry-mania.

Fonte: Superscommesse.it
Il piccolo Steph ce l’ha fatta e nel mondo impazza la Curry-mania.

 L’MVP è lui: tutte le curiosità del Podoloff Trophy “Gioca poco alla Play Station, perché lui è la Play Station”. Si tratta soltanto di uno dei milioni di commenti web che in queste ore stanno contribuendo ad irrobustire la fama planetaria di Stephen Curry. Questo momento, il piccolo Steph, lo sognava già all’età di 4 anni: quando, come si può vedere nella foto, osservava papà Dell fronteggiare Drazen Petrovic, Mitch Richmond e Craig Hodges nella gara del tiro da tre punti dell’All Star game del 1992. Ora ha la Nba ai suoi piedi. L’ha folgorata, letteralmente. L’edizione numero 60 del Maurice Podoloff Trophy, quello che premia il migliore dei migliori della regular season Nba (MVP, most valuable player, ndr), è dunque proprietà dell’elettrizzante playmakerino dei Golden State Warriors. Perché lui e non James Harden, o Anthony Davis, o il pur sempre “dominus” Lebron James? Domanda lecita, in fondo. Curry ha chiuso al 6° posto sia come media punti (23,8 ad allacciata di scarpe) che come media assist (7,7 a gara), cifra quest’ultima non impressionante se si considera che parliamo di un playmaker puro. Quello che fa la differenza, nel gioco del piccolo Steph, è l’impatto che riesce ad avere sulle prestazioni dei Warriors. Quando è stato in campo ha fatto registrare un net rating di +17.0, con un offensive rating pari a 114.2: numeri a dir poco paradisiaci, decisivi nel record mostruoso del team della Bay Area (67 vinte e 15 perse, record franchigia). A tutto questo va aggiunto un record: quello delle triple mandate a bersaglio in una stagione, 273, impresa mai riuscita a nessuno. Poi c’è una particolarità, di non poco conto: con la sua faccia da bimbo furbetto, piace a tutti. Ma proprio a tutti: per avere il polso della Curry-mania, basta aprire in Rete uno dei migliaia di video con le sue giocate e leggere sotto quale enormità di commenti, faccine e sviolinate è in grado di innescare. Ora che i giochi sono fatti (Curry verrà investito del trofeo in occasione di gara-2 tra Golden State e Memphis), ci chiediamo: è possibile, rovistando tra i numeri sulle 59 precedenti edizioni del premio (esiste solo dal ’55-’56), tracciare una lista di “requisiti” che un giocatore deve avere per essere nominato MVP? Un identikit “preciso” è impossibile da configurare, ma le curiosità di certo non fanno difetto al “Trophy”. Ecco tutti i dati raccolti da SuperNews. 21 Sono i giocatori che dopo aver alzato al cielo il Podoloff, si sono messi al dito nella stessa primavera l’anello di campioni Nba. E’ accaduto 4 volte (su 5 trofei vinti) all’immortale Bill Russell, principale artefice degli 8 titoli consecutivi vinti dai Boston Celtics tra il ’58 e il ’66. Così come ha firmato il poker Michael Jordan, astro assoluto della Nba anni ’90. Kareem Abdul Jabbar, che di titoli ne ha vinti 6, solo in due occasioni è stato anche MVP di regular season. Bis recente anche per Lebron James nel 2012 e nel 2013: titolo di MVP e anello. 6 Sono i titoli di MVP vinti da Kareem Abdul Jabbar, recordman assoluto: tre ne ha vinti con la maglia dei Milwaukee Bucks, altri tre con quella dei Los Angeles Lakers. 35 Sono le volte in cui il vincitore del trofeo ha fatto registrare, con il proprio team, il miglior record vinte/perse durante la regular season. In maglia Celtics, Bill Russell qui registrò un 5 su 5. Wilt Chamberlain invece firmò un 3 su 3 a Philadelphia nella seconda metà degli anni ’60. “Triplete” pure per Larry Bird (Boston) tra l’84 e l’86. 4 Sono le stelle Nba che hanno vinto il “trophy” ma non si sono mai messe al dito un anello Nba: Charles Barkley (MVP nel ’93 con Phoenix), Karl Malone (MVP nel ’97 e nel ’99 con Utah), Allen Iverson (MVP nel 2001 a Philadelphia) e Steve Nash (MVP nel 2005 e nel 2006 sempre con Phoenix). Ad essi vanno aggiunti Derrick Rose e Kevin Durant, rispettivamente MVP 2011 (con Chicago) e 2014 (con Oklahoma City), i quali però sono tuttora in attività. 3 Sono le volte in cui il trofeo non è andato ad un giocatore americano. E’ accaduto nel 2005 e nel 2006, quando a vincere fu il canadese Steve Nash con i Phoenix Suns, e nel 2007, quando l’MVP fu il tedesco Dirk Nowitzki (Dallas Mavericks), ad oggi unico europeo con il Podoloff in bacheca. Ad essi si dovrebbe aggiungere Hakeem Olajuwon, MVP 1994 con Houston, nigeriano ma naturalizzato americano. 11 Sono i vincitori del trofeo entrati nella Nba come prima scelta assoluta del draft. Il primo è stato Oscar Robertson, point guard pick n°1 nel 1960 dei Cincinnati Royals e MVP con la stessa maglia nel 1964. L’ultimo, Derrick Rose, attuale stella di Chicago, scelto dai Bulls per primo nel 2008 e MVP sempre con la franchigia dell’Illinois nel 2011. 35 Sono gli anni dell’MVP più anziano della storia: si tratta del postino della Louisiana Karl Malone, che nel 1999 conquisto il suo secondo trofeo con la maglia degli Utah Jazz al termine di una stagione “short” da sole 50 gare per via del lockout. 22 Sono gli anni dell’MVP più giovane della storia: parliamo del furetto Derrick Rose, che nel 2011 in maglia Chicago Bulls si portò a casa il trofeo soltanto al suo terzo campionato nella Lega più famosa al mondo. 11 Sono le volte in cui i giocatori che sono stati eletti MVP nell’anno dove hanno vinto la classifica dei marcatori. E’ successo al primo MVP della storia Bob Pettit (nel ’56 e nel ’59), e in ultima battuta al migliore dello scorso anno Kevin Durant, che nel 2014 chiuse a 32 punti di media prima di ricevere il Podoloff. 9 Sono le volte in cui l’MVP è risultato anche il miglior rimbalzista della stagione: accadde per la prima volta a Bill Russell nel 1958 (22,3 di media, impressionante), mentre l’ultimo è Kevin Garnett, MVP 2004 con la maglia dei Minnesota Timberwolves (13,8 carambole catturate a partita). 5 sono le volte in cui l’MVP è risultato anche il miglior assist-man della Lega. Per la prima volta è toccato a Bob Cousy dei Boston Celtics nel 1957 (8 “assistenze” di media). Gli altri sono Oscar Robertson nel 1964, Magic Johnson nel 1987 e Steve Nash nel 2005 e 2006. 1 Una storia lunga 60 anni, quindi: da novembre a maggio, nessun dibattito appassiona tanto tra gli appassionati Nba. Ed in fondo è giusto così. Chi dopo Steph Curry? Appuntamento qui, tra un anno.