Star Spangled Banner, la differenza che fermerà l'Euroleague in stile NBA di Jordi Bertomeu

11.04.2015 09:39 di Umberto De Santis Twitter:    vedi letture
Star Spangled Banner, la differenza che fermerà l'Euroleague in stile NBA di Jordi Bertomeu

Riunioni e contro riunioni in casa FIBA Europe e Euroleague Basketball per prendere pieno possesso della pallacanestro professionista del Vecchio Continente. Guerra aperta nonostante le dichiarazioni bellicose non siano mai state inoltrate, nemmeno in stile balcone di Palazzo Venezia. Una guerra che però, temiamo, il buon Jordi Bertomeu è destinato a perdere insieme all’idea irrealizzabile di un campionato sovranazionale in stile NBA. Già aver fatto sapere al mondo che le “elette” scenderanno da 24 a 16 è una brutta ammissione di debolezza. Ma la differenza tra la NBA e l’Europa, quella differenza che condanna il tentativo della lega privata, è in un piccolo dettaglio su cui spesso ironizziamo quando vediamo in televisione partite del campionato professionistico USA.

Un minuto prima della palla a due, infatti, in totale assenza di politici in bellavista, di solito 20.000 persone si alzano in piedi e intonano lo Star Spangled Banner, l’inno nazionale americano. Le 30 franchigie NBA – compresa quella dei canadesi Raptors – vivono, lavorano, prosperano o sbagliano (ma non c’è retrocessione) con le stesse regole, le stesse limitazioni, controllate severamente da giudici imparziali. Le sponsorizzazioni sono legate solo ed esclusivamente a fini commerciali e l’influenza di agenti esterni è pressoché nulla. Immaginiamo che ora vi scappi da ridere paragonato all’andazzo nostro. Un dirigente navigato e che ha indubbiamente attraversato decenni di intromissione politica come il presidente Fip Gianni Petrucci avrà ben chiaro contesto e modalità di esercizio della cosa.

Parliamoci chiaro. Ancora oggi, se volesse davvero vincere l’Euroleague, a Giorgio Armani non basterebbe investire il quadruplo dei 10 milioni di euro che gli sono stati attribuiti per sostenere la stagione 2014-15 della sua Olimpia Milano. Veniamo da due decenni di dumping fiscale che hanno messo in risalto le squadre spagnole e greche, dalla legge Beckham con cui in Spagna si sono pagate tasse irrisorie sui salari dei giocatori all’inefficacia delle autorità elleniche di tenere sotto controllo fiscale un paese – e in Grecia ne stanno subendo le conseguenze, come tutti ben sanno. I campioni possono scegliere di andare dove vengono meglio pagati quindi le formazioni italiane, tedesche e francesi non hanno chance.

Teka per questa stagione versa al Real Madrid appena 2,5 milioni di euro; i debiti bancari della polisportiva madri dista sono congelati dalla politica nelle banche, come del resto quelli del Barcellona. Adesso arriva la Turchia, spinta da anni di sviluppo economico impensabile per il resto del Vecchio Continente e l’insieme delle regole nostre lì deve essere ancora costruito. Il CSKA punta di diamante del vecchio Soviet è stato sostituito con i petrodollari ma già ci sono avvisaglie di crisi in Russia dove gli oligarchi hanno regole a loro piacere. Davvero Bayern e Olimpia vorranno essere i parenti poveri della disuguaglianza sportiva, legislativa  e fiscale? E gli sponsor potranno resistere alla pressione che le Federazioni Nazionali, attraverso i loro rappresentanti, possono fare sui governi per ostacolare la macchina di Bertomeu? Finora Euroleague Baskeball ha prosperato, facendo la voce grossa, solo perché di fronte non aveva l’avversario. Adesso sembra che la festa sia finita, perché un solo inno uguale per tutti, in Europa, non lo canterà mai nessuno.