Ultimo applauso a Solfrini nel Duomo di Brescia

Ultimo applauso a Solfrini nel Duomo di Brescia

(di Mario Natucci). Brescia. Era triste anche il cielo sopra il Duomo in occasione del funerale di Marco Solfrini: un cielo grigio, maldisposto, che sembrava fermare l’accenno di primavera di fine marzo. E le gocce di pioggia che sono cadute sono parse lacrime nel pomeriggio in cui la gente del basket ha tributato l’ultimo applaudso a Marco.
  Al funerale ha partecipato la città di Brescia, rappresentata dal sindaco, nei primi banchi del Duomo con la fascia tricolore alla cerimonia funebre. La città ha ringraziato così, in modo solenne, uno dei suoi figli più illustri, l’atleta che ha impersonato prima sul campo e poi come dirigente l’affermazione di Brescia nel mondo dei canestri.

Ma è stato tutto il basket a stringersi attorno alla bara di Marco per ringraziarlo per quanto aveva fatto con le maglie delle squadre in cui aveva fatto brillare la sua classe e in cui aveva fatto valere la sua voglia di vittorie. C’erano i suoi compagni di Brescia (Fabio Fossati, Pino e Silvano Motta, Andrea  Marusic, Ario Costa) c’era la Germani Leonessa  al completo, con la presidente Graziella Bragaglio e l’allenatore Andrea Diana. C’era Stefano Sbarra che con lui aveva vissuto l’epopea del BancoRoma con uno storico scudetto, seguìto dalla Coppa dei Campioni , dalla Coppa Intercontinentale, dalla Coppa Korac; c’erano Dino Meneghin e Meo Sacchetti, oggi coach azzurro, che a fianco di Marco con la nazionale aveva conquistato la prima medaglia d’argento olimpico a Mosca.

C’erano con Peppe Ponzoni , provenienti da varie regioni, tanti suoi compagni azzurri del Maxibasket, che avevano diviso con lui una serie impressionante di trionfi europei e mondiali in giro per il globo. Una serie che pareva non avere fine, che Marco aveva percorso con la sua classe dalla categoria Over 45 a quella Over 55. Tutti noi pensavamo che Solfrini avrebbe continuato a mietere successi fino ai 70 anni e passa, sorretto da una passione inesauribile. Il destino lo ha fermato ai 60 anni, lasciandoci però il suo grande esempio.

Il Duomo di Brescia era pieno, oltre duemila persone unite nella preghiera. Monsignor Paganini, delegato vescovile per gli sportivi, ha sottolineato le doti di giocatore e di uomo del più importante atleta di basket della città. Anche lo stesso prelato era stato giocatore di basket in gioventù. Da junior – ha ricordato – aveva affrontato con la propria squadra la formazione juniores dell’allora Pinti Inox Brescia in cui giocava già da asso in erba Solfrini, subendo una batosta mai vista. E con un pizzico di ironia ha ricordato come quella sconfitta contribuì ad aprirgli la strada verso la vocazione sacerdotale. Come giocatore – rifletté - valeva poco o nulla, e dunque molto meglio dedicarsi alla passione per il Vangelo, che già germogliava in lui. Dove si vede che le strade del Signore sono davvero infinite, e possono passare anche per i campi di basket.

Il caso ha voluto che il funerale sia avvenuto in piena Settimana Santa, già di per sé segnata da mestizia. Marco Solfrini lascia un vuoto difficile da riempire. Non solo nella vita sportiva ma anche e soprattutto in quella personale, della famiglia che appena un paio d’anni fa aveva formato unendosi in matrimonio con Tania, la cestista ucraina che aveva conosciuto a Kaunas, in Lituania nel corso degli Europei di Maxibasket. Tania aveva coronato con Marco un sogno d’amore tanto insperato quanto splendido, così appariva agli occhi di chi li guardava. Quel sogno per Tania si è spezzato brutalmente, ed è davvero come se una spada avesse trapassato la sua anima. In tanti hanno cercato di consolarla abbracciandola e facendole coraggio dopo la cerimonia funebre, accanto alla bara di suo marito. Lo sport ha questo di buono, che genera amicizia, fraternità e solidarietà. Possano questi sentimenti riempire almeno in parte il vuoto lasciato.
mario natucci