Minnesota Timberwolves: talento inespresso o coach inadeguato?

Minnesota Timberwolves: talento inespresso o coach inadeguato?

(di Giovanni Rinaldi). Nella competitiva Western Conference oltre lo strapotere dei Golden State Warriors e dei San Antonio Spurs è possibile affermare che il livello è pressapoco omogeneo, tranne per situazioni un po' scomode come quelle dei Los Angeles Lakers, che in questo momento con il record di 4v/21p sono la peggior squadra a Ovest. Penultimi invece i  New Orleans Pelicans con 7v/21p e terzultimi i Minnesota Timberwolves con 9v/16p. Queste sono le uniche squadre ad Ovest a non aver superato fino ad oggi la doppia cifra nelle vittorie.

Il caso Timberwolves non nasce come il più semplice. Poco prima dell'inizio della stagione vengono colpiti da un fulmine a ciel sereno, ovvero il coach Flip Saunders decede a causa del cancro. Dopo questa scossa si decide di far subentrare alla direzione della franchigia di Minneapolis il vice allenatore Sam Mitchell, sia per l'improvvisa mancanza di Saunders sia perché conoscitore del sistema Timberwolves. La stagione nonostante tutto parte abbastanza bene, soprattutto per una squadra che l'anno scorso ha concluso con un record di 16v/66p. All'esordio vincono 112-111 a Los Angeles, sponda Lakers, partendo con tre vittorie e due sconfitte nelle prime cinque gare di cui tre in trasferta e la quinta imponendosi in casa dei Chicago Bulls di Derrick Rose. Nelle successive partite solo sei vittorie, con un disastroso 3v/10p in casa e un più dignitoso 6v/6p in trasferta.

Sulla carta Minnesota ha un roster degno di nota, ricco soprattutto di nuovi prospetti molto interessanti su cui costruire una buona franchigia con le giuste direttive da parte dei veterani. Non dimentichiamo che Andrew Wiggins è il Rookie dell'anno 2014-2015, Zach LaVine è un playmaker atipico capace di apportare atletismo e dinamismo alla squadra dalla panchina. Dal Draft è arrivato uno dei potenziali centri che potranno imporsi di qui fino ai prossimi anni, Karl-Anthony Towns, e Tyus Jones, un playmaker che visti i competitors nel ruolo come Ricky Rubio, il già citato Lavine e il navigato Andre Miller è stato spedito in D-League per farsi le ossa e crescere. Sommiamo a questi il nuovo acquisto, direttamente dalla Turchia, Nemanja Bjelica, il ritorno dell'uomo-franchigia dei Wolves Kevin Garnett come mentore per i giovani meno esperti, il tiratore veterano Kevin Martin (che adesso si vorrebbe scambiare per trovare nuove soluzioni) e Tayshaun Prince vincitore dell'anello NBA con Detroit nel 2003-2004, e altri gregari di qualità (senza contare l'infortunato Pekovic).

Indubbiamente il processo di ricostruzione è iniziato l'anno scorso, quest'anno si stava definendo e si sarebbe potuto consolidare magari con un'apparizione ai playoff che manca dal 2004. Le basi prima della scomparsa di coach Saunders c'erano, tant'è che nelle prime partite di Regular Season la squadra convinceva. Magari il roster sarà stato spinto dalla forza di volontà intesa come reazione del brutto momento vissuto, eppure tutto andava abbastanza bene. Anche presi singolarmente, tre giocatori di Minnesota sono in classifica, infatti ad oggi ci sono quattro giocatori in tutta l'NBA con vent'anni d'età o più giovani che realizzano 15 o più punti a partita, e questi sono Towns, Lavine e Wiggins. L'impatto di Towns nelle prime venticinque partite è stato devastante. Il lungo viaggia a una media di 15,4 punti e 9,1 assist a partita. Niente male per un Rookie.

Di certo le aspettative per la stagione non erano esattamente queste, si puntava a un record migliore dell'anno scorso. Da qui a definire crisi quella dei Wolves c'è ancora tanta strada. Non si riesce ad arrivare a capo alla scarsa attitudine alla vittoria in casa tra le mura amiche del Target Center. Generalmente le partite in casa sono il punto d'enfasi di ogni squadra, che con l'incitamento dei propri fans dovrebbe riuscire a trovare il sesto uomo nei momenti più difficili. Certo per ora  il 50% di vittorie in trasferta dovrebbe fungere da contentino, vuol dire che la squadra per adesso non subisce la pressione di dover dimostrare qualcosa in palazzetti “nemici”, tant'è che nelle sei vittorie esterne alcune sono arrivate a discapito anche di squadre come Denver, Chicago, Atlanta e Miami tra le più blasonate sulla carta.

Se tanto mi da tanto, a una scossa come quella d'inizio stagione (seppur negativa), dovrebbe seguirne un'altra per risvegliare i Minnesota Timberwolves da questo periodo buio e negativo. Magari esonerare coach Mitchell potrebbe non essere la soluzione migliore, seppur c'è da dire che non abbia per il momento avuto una grande carriera da allenatore. Teoricamente le idee che coach Saunders voleva imprimere nella squadra sono le stesse, ma potrebbe esserci un problema di trasmissione e comunicazione al roster. Ciò che conta è che in qualunque maniera si riesca a ristabilire il cammino di Minnesota in stagione, sia per la mancanza ai playoff ormai da dodici anni (seppur nella competitiva Western Conference bisogna imporsi con record di vittorie ben superiori al 50%), sia per il roster composto da futuri protagonisti dell'NBA nei prossimi anni che a furia di risultati scadenti possano decidere di cambiare aria, e anche e soprattutto per cercar di dare vita a ciò che Flip Saunders aveva messo in piedi anche con l'aiuto di Garnett e la loro immagine di Uomini Franchigia (Garnett in campo e Saunders a dirigere) e far in modo di tornare a scrivere il proprio nome nell'NBA che conta.