Jasko Repesa, un allenatore nato

30.06.2015 10:57 di Alessandro Luigi Maggi   vedi letture
Fonte: olimpiamilano.com
Jasko Repesa, un allenatore nato

 

Jasmin Repesa è un allenatore nato. Pur avendo il fisico possente, statuario e il passato del giocatore, la sua vocazione è stata sempre quella dell’insegnamento. Negli anni ’90 era uno dei giovani coach emergenti non solo in Croazia ma nell’intero territorio europeo. Era assistente di Asa Petrovic, il fratello maggiore del grande Drazen, al Cibona quando si imbatté in ritiro nella Stefanel Trieste di Bogdan Tanjevic per cui sparava una parte delle sue ultime cartucce europee il grande Dino Meneghin. Repesa aspettava un figlio a casa. Ma non aveva ancora deciso quale nome imporgli. “Chiamalo Dino, come me”, disse Meneghin tra il serio e il faceto. Repesa eseguì l’ordine. Quando uno rispettato come Meneghin chiede, uno come Repesa esegue.

Nel 1995 aveva solo 34 anni quando venne chiamato a guidare il Cibona Zagabria, l’Olimpia del basket croato. Il Cibona negli anni ’80 era stato due volte sul trono europeo prima che se ne impossessasse l’Olimpia di Dan Peterson e Mike D’Antoni. Era la squadra di Drazen Petrovic che però veniva da Sibenik. A quei tempi nell’ex Jugoslavia, una squadra di riferimento poteva indicare i giovani di altre formazioni e portarglieli via nel nome del supremo interesse del basket nazionale. Così Drazen Petrovic si ritrovò come il fratello al Cibona. A vincere due Coppe dei Campioni. Era quello il contesto in cui crebbe Jasmin Repesa: nel 1994 diventò il giovane coach di una squadra nella quale erano riposte grandissime aspettative.

Rispose alla grande, vincendo quello che era realisticamente possibile vincere al Cibona, poi andò a vivere un’esperienza sorprendente al Tofas Bursa. Il suo playmaker era David Rivers, un vincente che aveva portato al titolo europeo l’Olympiacos. Al Tofas, vinse tutto in Turchia creando una dinastia veloce ma prepotente. Il centro si chiamava Rashard Griffith: in seguito sarebbe arrivato alla Virtus Bologna per realizzare il Grande Slam del 2001 (Rivers invece aveva portato la Coppa Italia alla Fortitudo nel 1998). Fu allora che il nome di Repesa cominciò a circolare per opportunità importanti a livello europeo, ad essere spendibile sul mercato italiano. Allenò brevemente in Polonia e a Spalato, poi tornò al Cibona ed era a Zagabria di nuovo, quasi a ripartire da capo, quando arrivò la chiamata decisiva della sua carriera.

La Fortitudo della prima parte del secolo non aveva più il budget da supervertice europeo come negli anni di Rivers, Dominique Wilkins, Stojko Vrankovic o Carlton Myers. Ma era una squadra importante, in Italia e in Europa. Nel 2002, si stava sbriciolando l’impero virtussino, e il proprietario della Fortitudo, Giorgio Seragnoli, chiamò Jasko (come lo chiamano gli amici) per sostituire Matteo Boniciolli. Repesa si presentò con la sua voce baritonale, il fisico imponente, i modi al tempo stesso e burberi e affettuosi del leader severo ma giusto. Quattro anni vissuti sulla cresta dell’onda, quattro finali scudetto, di cui una vinta nel 2005, una persa nel 2004 contro Siena con mezza squadra rotta e due perse contro Treviso dopo epiche battaglie, specie nel 2006 quando la Benetton aveva Andrea Bargnani che pochi giorni dopo sarebbe stato scelto al numero 1 del draft NBA. Non solo i risultati – nel 2005 vinse la Supercoppa e nel 2004 portò la Fortitudo alla finale di Eurolega a Tel Aviv perdendola contro il Maccabi che era fortissimo e giocava in casa – a Bologna, Repesa è diventato subito l’allenatore più amato. Quando tornò, alla guida di Roma, gli tributarono 10 minuti di standing ovation e gli misero una corona sulla testa: era il Re di una tifoseria.

Repesa a Bologna usava rotazioni profonde, pressing a tutto campo, grande aggressività difensiva dalla quale generava contropiede e gioco in transizione, allenando tanti giovani come erano all’epoca Stefano Mancinelli, Marco Belinelli, Milos Vujanic, Carlos Delfino, lo stesso Matjaz Smodis, Erazem Lorbek con lui fu nominato “Rising Star” di Eurolega. Fu Repesa a valorizzare definitivamente Gianluca Basile. La squadra funzionava, i metodi anche (Repesa vinse lo scudetto del 2005 mettendo fuori rosa Gianmarco Pozzecco nella parte finale della stagione per indisciplina), le conferenze stampa a tratti esilaranti con Repesa a recitare la parte dell’eterno insoddisfatto. Era il suo stile: attaccava prima di essere attaccato, faceva il duro ma in fondo in fondo si era legato tantissimo a quell’idea di squadra e di ambiente. Ha il rimpianto di non aver fatto altrettanto a Roma anche se oggi una finale scudetto, una semifinale persa in circostanze rocambolesche (la sua Roma fu l’unica nel periodo dei sei scudetti vinti da Siena con Pianigiani in panchina a batterla a casa sua), le Top 16 di Eurolega, una finale di Coppa Italia assumono un significato diverso. Allenò David Hawkins, Roko Ukic e Brandon Jennings, brevemente anche Gigi Datome, portò in Italia Ibby Jaaber, fece cose interessanti prima di lasciare la panchina a Nando Gentile, quando il general manager era Dejan Bodiroga. Quando tornò in Italia fu per prendersi cura di una Treviso in fase di dismissione ma anche lì raggiunse una Final Eight di Eurocup, una semifinale scudetto e allenò virtualmente al suo debutto in Serie A proprio Alessandro Gentile. In quel periodo il figlio Dino giocava nella Benetton e fu decisivo in uno scudetto giovanile che conquistò assieme al Capitano dell’Olimpia.

Il resto della carriera parla di un grande impegno con la Nazionale croata, che ha portato ai Mondiali con il quarto posto agli Europei del 2013, un anno a Malaga, due stagioni importanti al Cedevita lasciato adesso nelle mani di Veljko Mrsic, che ha giocato anche lui a Milano.

Adesso, Repesa parla italiano perfettamente. Del basket italiano conosce tutto: vizi e virtù, pregi e difetti, abitudini. E’ sempre stato nel giro di Milano, dell’Olimpia, non c’erano mai state le condizioni reciproche per il matrimonio appena consumato. Definisce l’Italia la sua “seconda casa”. A Trento ha fatto un clinic per i giovani allenatori italiani, concordato quando non pensava di tornare o non poteva prevedere che sarebbe tornato. Era nel suo destino. L’Italia e anche Milano.

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