Gianluca Basile a tutto campo tra l'Orlandina, Pozzecco e Sacchetti

«Chissà quanti tiri ignoranti con Meo...»
Fonte: sardegnasport.com
Gianluca Basile
Gianluca Basile

Una carriera costruita a suon di tiri ignoranti. Partita da Ruvo di Puglia, estrema periferia del basket, e approdata nelle maggiori capitali della palla a spicchi: da Bologna, sponda Fortitudo, a Milano, passando per la dorata parentesi di Barcellona. E poi il ritorno alle origini, nella più piccola città del campionato di Serie A: Capo d'Orlando, provincia di Messina. Appena 13mila anime, ma con una passione grande così per il gioco inventato da James Naismith. La piazza ideale, insomma, per chiudere una carriera che l'ha portato a vincere qualcosa come quattro Scudetti (due in Italia, altrettanti in Spagna), tre Coppe del Re, un'Eurolega e 2 titoli di MVP. Ma Gianluca Basile fa soprattutto rima con Nazionale, e a lui sono legate indelebilmente le magiche notti di Parigi '99 e Atene 2004. Con i 40 anni che incombono, il Baso ha ancora un sogno: la salvezza con l'Upea, da conquistare una battaglia alla volta. Alla vigilia della sfida con il Banco di Sardegna, abbiamo approfittato della sua disponibilità per fare una chiacchierata a tutto tondo, tra il basket di ieri e oggi, la Dinamo, Pozzecco e quel mentore "mancato" che risponde al nome di Meo Sacchetti.


Che impressione ti ha fatto la Dinamo contro l'Efes?
"Ammetto di non aver visto la partita in diretta perchè a quell'ora avevamo una seduta di allenamento. Vedendo il punteggio finale, mi viene da dire che tutto sommato ci sta: campi come quello dell'Efes sono sempre molto difficili. Secondo me l'Eurolega per Sassari è come un premio per quanto fatto di buono negli ultimi anni. Io la vedrei così. Si tratta di una competizione strana, devi giocarla per tanto tempo prima di capire effettivamente come va affrontata. Tranne Logan, non mi pare che tanti altri giocatori di Sassari l'abbiano mai fatta, quindi ci sta che capitino anche queste sconfitte. Mi concentrerei più sul campionato, che è decisamente più abbordabile."

A inizio stagione avevi indicato la Dinamo come terza squadra di una ideale griglia di partenza del campionato alle spalle di Milano e Reggio Emilia. A oggi, ti senti di confermare quell'impressione?
"Sì, confermo. L'unica cosa che mi viene da dire è che Sassari a livello fisico è molto superiore a Reggio, e questa cosa in una serie playoff conta parecchio. Inoltre anche a livello tecnico il Banco è una buona squadra, l'unico suo limite a mio avviso consiste la tendenza ad andare su di giri. Mi spiego: la mentalità di Meo richiede di chiudere l'azione nei primi 7/8 secondi, ma secondo me non è sempre possibile affrontare le partite in questo modo. Sarebbe bello difendere, prendere il rimbalzo e correre. Ma non è facile, il dispendio di energie è elevato e anche la stanchezza ti fa abbassare le percentuali. La Dinamo abusa a volte del tiro da tre: fino a quando va dentro dà 20 punti a tutti, ma quando non entra rischia di perdere. A livello europeo questo fatto si paga tantissimo, in campionato invece il tasso di atletismo del Banco è così alto rispetto alle altre squadre che alla fine riesce a vincere. Per questo motivo vedo una lotta equilibrata."


Sassari e Milano stanno faticando parecchio in Eurolega, anche se la squadra di Banchi è ancora in piena lotta per le Top 16. Tu sei stato testimone di un'epoca in cui le italiane riuscivano ad arrivare quasi sempre fino in fondo: cosa è cambiato rispetto ad allora? E' solo una questione di soldi?
"Secondo me no, è anche una questione di gioco. In Italia si punta quasi esclusivamente sugli americani e sul loro atletismo. Può andare anche bene, ma, come dicevo prima a proposito del Banco, non si può pensare di andare sempre a mille e correre tutta la partita. Se guardiamo all'Eurolega, tolto il Maccabi che ha una cultura particolare, le altre quanti americani hanno? Quanta cultura americana hanno? Pochissima. Poi, non voglio assolutamente fare un discorso sui soliti stereotipi, ma va fatta anche una distinzione tra i giocatori di colore e i bianchi: in questo momento è predominante la cultura del giocatore di colore, molto forte fisicamente. Però il bianco, di solito, è più gestibile, perchè non avendo le stesse prestazioni atletiche cerca di colmare il gap con la tecnica. Puntando su elementi di scuola statunitense devi avere un allenatore che li istruisca e imponga loro di giocare all'europea, con maggiore giro palla e difesa. Un basket, quest'ultimo, in cui tutte le partite sono importanti e in cui tutti gli allenamenti sono delle opportunità per migliorarsi, e non per cazzeggiare. Ecco, secondo me, tolti pochi casi, loro non riescono a capire questo."

Sei d'accordo con Djordjevic quando afferma che il campionato italiano è diventato ormai una lega di sviluppo per gli americani?
"Il campionato italiano è senz'altro un trampolino di lancio, ma, ripeto, lo può essere soltanto se un giocatore americano viene qui per cercare di stare all'interno di un sistema di gioco europeo. Se lo capisce avrà vita lunga, altrimenti è dura. Le squadre importanti non guardano solo le statistiche personali, ma osservano soprattutto atteggiamento e difesa. Se l'americano riesce ad adeguarsi allora rimane in Europa, guadagna bene e si mette apposto. Invece alcuni vengono qui per 50 o 70mila dollari e sono contenti così. Preferiscono giocare il loro basket piuttosto che provare a cambiare mentalità. Così come i giocatori italiani non possono pensare di andare in NBA a giocare all'europea, gli americani non possono affermarsi in Europa giocando in maniera individuale".

Alla luce di questo, cosa farebbe Gianluca Basile per ridare smalto al movimento italiano? Ridurre il numero degli americani può essere una soluzione?
"Se ne è parlato molto, ma siamo in tempi di globalizzazione, c'è la legge Bosman e le frontiere sono aperte. Io se fossi un general manager cercherei di costruire le squadre come le costruiscono i grandi club dell'Eurolega: meno americani e più giocatori europei, puntando anche magari sui mercati dell'est. Effettivamente, se parliamo di italiani, in questo momento, tolti quelli che giocano a Milano e Reggio non ce ne sono tantissimi per il livello dell'Eurolega. Il problema è sempre lo stesso: se vuoi fare la squadra americana deve essere bravo l'allenatore a far capire loro che il talento fisico e tecnico va messo a disposizione della squadra e non solo per i loro numeri individuali. Va detto che in tempi di ristrettezze economiche molte squadre medio-basse preferiscono puntare sugli americani perchè costano meno. Ma a quel punto si costringe l'allenatore a un lavoro durissimo, anche perchè spesso sono questi ragazzi sono dei rookie alla loro prima esperienza in un basket totalmente nuovo."

Veniamo a Capo d'Orlando: la vittoria contro Caserta ha dato grande entusiasmo, subito smorzato dal canestro vincente di Ross a Pesaro.
"Il nostro problema in questo momento è il calendario: fino a ora abbiamo avuto Pistoia, Virtus Bologna, Roma, Cremona, Avellino, Caserta e Pesaro: tutte partite abbastanza abbordabili. Ora, a partire dalla Dinamo, abbiamo una seconda parte di girone d'andata molto più dura. Ci eravamo prefissati di fare più punti possibili nella prima parte proprio in previsione di questo. Invece abbiamo avuto vari problemi, anche fisici, e siamo riusciti a portare a casa soltanto 2 vittorie. Quella contro Caserta è stata una gara più di cuore che di tecnica: ci saranno state tra una squadra e l'altra 40 palle perse: uno schifo di partita, forse la peggiore degli ultimi vent'anni! Però l'abbiamo vinta e questo ci ha dato serenità. La partita che dovevamo e volevamo vincere per stare ancora più tranquilli era quella di Pesaro, e invece purtroppo l'abbiamo persa giocando bene solo a tratti. Quest'anno abbiamo questo difetto: non riusciamo ad avere un rendimento continuo, le nostre partite sono fatte di molti alti e bassi e anche contro la Vuelle è andata così. Poi, quando arrivi nel finale punto a punto, devi mettere in conto che può arrivare anche qualche fischio casalingo, ed è per questo motivo che quando si gioca in trasferta non si dovrebbe mai arrivare in volata. Al di là di tutto, secondo me siamo una buona squadra, anche se a volte ci dimentichiamo di esserlo. Spesso forziamo dei tiri, non giochiamo di squadra e questi sono aspetti che dobbiamo smussare il più possibile."

Da cosa passa la salvezza di Capo d'Orlando?
"Dal far capire agli americani che la situazione è nelle loro mani. Loro giocano più di noi, tengono molto di più il pallone tra le mani, e se capiscono che bisogna giocare di sistema, la squadra ne trae beneficio. Viceversa, andando sempre alla ricerca delle statistiche individuali, raramente si vincono le partite. Se sono tutti i giocatori ad avere dei numeri buoni è più facile ottenere risultati."

Cosa cambia in regia da Flynn a Henry?
"Johnny, va detto, non è mai stato bene, la società lo sapeva e ha rischiato prendendo grande giocatore, una sesta scelta del Draft NBA, ma con un grande problema all'anca. Non è mai stato al 100%, ma nemmeno al 50 secondo me. Ha sempre avuto male, a volte lo ha nascosto ma poi sul campo si vedeva che andava a marce ridotte rispetto agli altri. Henry invece è un giocatore che ha un atteggiamento difensivo importante, atletismo e voglia di fare: queste sono cose importantissime. Sono sicuro che ci darà una grande mano d'aiuto."

Tu, Pecile e Soragna siete i leader carismatici del gruppo: come affrontate questo compito? Gli americani vi riconoscono un ruolo così importante?
"Gli americani ti riconoscono la leadership quando dimostri qualcosa sul campo. Loro non sanno la nostra storia, non credo si siano informati, anche perchè alla fine non gliene frega nulla. In questo momento, l'unico di noi tre che sta riuscendo a dare un contributo significativo alla causa è Teo Soragna. Io da tre o quattro partite non sto dando molto in termini realizzativi. I motivi sono vari: stanchezza, gambe e testa. Sto cercando allora di concentrarmi sulla difesa. Anche Pec sta faticando. Noi abbiamo senza dubbio un ruolo importante nell'economia di squadra, ma dobbiamo darci una svegliata."

La tua carriera ti ha portato in grandi città, da Bologna a Milano passando da Barcellona. Come ti trovi a vivere nella più piccola città del campionato di Serie A?
"Mi trovo molto bene, sono sincero. Vengo dal Sud e fino a 18 anni ho vissuto in una piccola cittadina di 20mila abitanti in Puglia, per cui sono abituato. Per me è come tornare indietro di vent'anni. Dal punto di vista della vita extra basket sto molto meglio qui che non in una grande piazza. Diciamo che dopo Milano non avevo tanta voglia di continuare, poi c'è stata quest'occasione in A2 Gold con il Poz, ed è stato facile accettare."


Cogliamo la palla al balzo per parlare proprio di Pozzecco: quando lo hai visto strapparsi la camicia nel derby cosa hai pensato?
"Che lui è sempre stato uno molto emotivo, anche da giocatore. La vive così, nel bene e nel male. Da allenatore non è cambiato, e poi bisogna tener presente che sta perdendo delle partite importanti in modo abbastanza strano. Credo che se gli incontri durassero solo 20 minuti, lui sarebbe primo in classifica a punteggio pieno. Nella sua reazione ho visto anche tanta frustrazione derivata da questo. Certo, strapparsi la camicia magari è un po' troppo, però lui è un impulsivo, non ha mai contato fino a dieci prima di fare qualcosa. Non è vero, come ha detto qualcuno, che è un personaggio costruito. Lui è semplicemente così. Quando giocava la viveva meglio, perchè almeno aveva la palla in mano per provare a cambiare le cose. Invece in panchina è peggio, visto che ti devi per forza di cose affidare ad altri. Al massimo puoi chiamare uno schema, ma oltre non puoi andare. Lo conosco, so vorrebbe essere più tranquillo e dopo si rende conto di non aver dato una grande immagine di sè stesso. Però non possiamo crocifiggerlo. Penso che nell'ultima settimana siano state dette e scritte delle cose esagerate su di lui. Dobbiamo accettarlo senza dargli addosso ogni volta."

Da Capo d'Orlando e il Poz a Meo Sacchetti il passo è molto breve: è un peccato che tu non l'abbia mai incrociato nel corso della tua carriera. Chissà quanti tiri ignoranti in più ci avresti regalato...
(Ride, ndr) "Per come imposta le sue squadre, sarebbe stato senza dubbio il mio allenatore ideale. Quando ero giovane, però, perchè adesso non riesco a correre come prima! Meo mi è sempre piaciuto per la tranquillità che dà ai giocatori, e per il fatto che costruisce gli attacchi sul contropiede. Nella squadra di quest'anno non saprei, ma in quella dello scorso anno mi sarebbe piaciuto davvero tanto giocare, con i cugini Diener a dettar legge."

I detrattori di Sacchetti sostengono che giocando col run&gun si può vincere nelle competizioni a gara secca, ma nelle serie a 7 partite diventa dura.
"I numeri dicono questo, in effetti. Negli ultimi due anni per la Dinamo è andata così, prima contro Cantù e poi contro l'Olimpia. Ad andare a mille non è detto che ci sia soltanto da guadagnare. E' anche vero l'anno scorso Sassari ha vinto la Coppa Italia, ma si tratta di una competizione particolare. Nei playoff si possono giocare anche 7 partite in 14 giorni, e tenere ritmi e percentuali alte non è per niente facile. Se punti tanto sul tiro da tre, devi sempre avere le gambe che girano. Anche io, a dire il vero, avrei qualche dubbio sul fatto che si possa fare tanta strada in post season puntando sul corri e tira."

A Sassari tiene banco il caso Dyson: le sue ultime prestazioni abuliche non sono andate giù ai tifosi, che non hanno mancato di farlo notare in occasione della gara contro Avellino. È davvero così importante per un professionista sentirsi apprezzato dal pubblico?

"Sì, quando la gente ti fischia è dura. Io ho vissuto una situazione del genere a Milano, e posso dire che, quando succede, hai un blocco tale che dopo non riesci più a far nulla. Il talento di Dyson non si discute, lui ha sempre giocato in un certo modo. Quando i tiri gli entravano tutti lo giudicavano in maniera positiva, ma ora sta attraversando un periodo negativo che sta nella normalità delle cose, e bisogna accettarlo. Poi, a prescindere da tutto, fischiare un proprio giocatore non lo aiuta sicuramente a ritrovare fiducia. Non so come andrà a finire e non sono nelle condizioni di poter parlare tanto di una situazione che non conosco a fondo, ma posso dire che mi dispiace perchè il pubblico di Sassari ha sempre incitato i propri giocatori e mi pare che negli ultimi anni non sia mai successa una cosa del genere."

Coach Griccioli è stato chiaro in conferenza stampa: cercherete di fare lo scherzetto alla Dinamo. Pensate che sia possibile strappare un successo lunedì?
"Se non giochi per vincere non devi entrare nemmeno in campo, io la penso così. Sappiamo che Sassari è una grande squadra, però se vogliamo salvarci dobbiamo provare a vincere tutte le partite. A maggior ragione in virtù del fatto che non siamo riusciti, così come ci eravamo programmati, a fare 8 punti nelle prime partite. Ne abbiamo soltanto 4, e quindi fino alla fine del girone di andata dobbiamo cercare di fare dei punti anche contro squadre più forti di noi. Poi in casa, con l'aiuto del nostro pubblico, possiamo avere più possibilità. Dobbiamo migliorare sia nel gioco offensivo che in quello difensivo, e quello di lunedì sarà un buon test in questo senso. La Dinamo gioca aggressiva, ti mette le mani addosso e cerca di rubare palla. Se riusciamo a tenere botta nei minuti in cui la loro furia difensiva si fa più forte, possiamo giocarcela. Poi è chiaro: dobbiamo anche sperare in una loro giornata di magra al tiro da tre punti. Se tengono alte percentuali, è più difficile batterli."

Contro l'Efes, la Dinamo ha fatto 6/29 dall'arco.
"E questo mi preoccupa, perchè sicuramente verranno a Capo d'Orlando per rimettere in sesto la media!"



Perdona la forzatura, ma la tentazione è troppo forte: per vincere servirà una Capo d'Orlando in formato Italia ad Atene 2004 contro la Lituania?
(Ride ancora) "Servirebbe, sì! E ci servirebbe tanto un gioco di squadra come quello che aveva la Nazionale del 2004. In quella partita la palla entrava con percentuali altissime, tirammo mi pare col 50% da tre su una trentina di tiri. Io feci 7/11, Galanda mi pare 4/4, e anche Poz, Bulleri e Soragna fecero benissimo, perchè erano tutti tiri creati sulla base di un gioco corale. E' più difficile avere certe percentuali se crei le conclusioni individualmente."


Di recente hai dichiarato che giochi perchè ti diverti ancora. Ma se un domani non dovessi più divertirti, in quali vesti ti vedremo? Ti piacerebbe allenare?
"Non lo so, sinceramente in questo momento non mi vedo tanto nel ruolo di allenatore. E poi non vorrei finire a viverla male come il Poz! (scherza, ndr). Io ho un altro carattere, tengo le emozioni dentro di me, belle o brutte che siano. Non sono così istintivo, ma devo dire la verità: allenare non è al primo posto tra i miei programmi. In futuro chissà, vedremo."

Sarebbe strano vederti lontano da mondo del basket.
"La verità è che questa vita è bellissima, è tutto, ma alla lunga è faticosa. A 40 anni, andare in giro a fare viaggi che durano due o tre giorni, diventa sempre più duro. Ho avuto la fortuna di giocare sempre in grandi squadre, e qualcosa da parte l'ho messa. Questa cosa mi dà la tranquillità necessaria per non aver fretta. Voglio pensarci e decidere bene quello che farò da grande."

Noi, intanto, speriamo di vederti prendere ancora tanti tiri ignoranti.
"Non so per quanto giocherò ancora, sono sincero. Le prestazioni fino a ora non sono state un granchè. Quando ti accorgi che il livello sale e tu non ci stai dietro, non ti diverti più. A quel punto devi avere anche il coraggio di alzare la mano e dire "ragazzi è finita". Ora come ora è prematuro dirlo, vediamo come va questa stagione e poi a fine anno deciderò".

Roberto Ruiu