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- 10 domande ad Andrea Pecile: «Ero stufo della SerieA, a Trieste per diventare un esempio»

30.04.2016 11:45 di  Alessandro Palermo   vedi letture
ESCLUSIVA PB - 10 domande ad Andrea Pecile: «Ero stufo della SerieA, a Trieste per diventare un esempio»

TRIESTE - Chiusa la stagione regolare da sesta forza del proprio campionato (Girone Est), la Pallacanestro Trieste si appresta ad affrontare Tortona in Gara 1 per i Playoff. Al termine di una regular season assolutamente positiva, da parte della squadra di coach Eugenio Dalmasson, per l'occasione abbiamo avuto il piacere di intervistare una colonna portante dei biancorossi: Andrea Pecile. Di seguito riportiamo l'intervista, in Esclusiva per i lettori di Pianetabasket.

Partiamo subito parlando della sua stagione a Trieste: è stato un anno meraviglioso per i triestini e avete conquistato meritatamente i Playoff. Insomma, si è fatto aspettare tanti anni ma ne è valsa la pena tornare alla casa madre!
«Si, assolutamente. All'inizio dell'anno avevo detto che giocare per la mia città, senza dover nulla togliere alle altre, mi avrebbe fatto provare emozioni particolarmente speciali, molto più forti. E così è stato».

Ce le può descrivere?
«Io sono sempre rimasto molto legato alle società dove ho giocato, ma sapevo che venire qui sarebbe stato diverso, con tante emozioni differenti da quelle che avevo provato in passato. Non ho mai giocato per la Pallacanestro Trieste, neppure le giovanili, quelle le ho fatte al Don Bosco. Ma sono sempre andato a vederla da ragazzino quando giocavano Bodiroga e Fucka (era la Stefanel dei primi anni '90), ed è sempre rimasta nel mio cuore. Dunque, venire qui e fare una stagione del genere... alla mia età, con questi numeri, è stata davvero la realizzazione di una bella favola. Ho capito che avevo fatto la scelta giusta, ho avuto una bella idea».

Agli inizi, pensava di arrivare nella sua Trieste e raggiungere subito traguardi importanti?
«E' stata un'annata straordinaria. Sinceramente lo avevo un po' previsto, immaginavo potesse andare così bene già dai primi allenamenti. Ci siamo radunati prestissimo, al dieci di agosto eravamo già in palestra a lavorare e da subito si è capito che c'era l'atmosfera giusta».

Quali sono state "le tappe" più importanti della vostra stagione? E quando avete capito che si potevano centrare i Playoff?
«E' stato un percorso di crescita: all'inizio ne abbiamo prese trenta da Verona, segnando soltanto trentanove punti. Poi, dopo quella batosta iniziale, siamo andati in crescendo. Guarda, ti confido che tengo un diario dove scrivo sempre l'andamento di ogni allenamento e credo che, se abbiamo sbagliato di squadra tre allenamenti in tutto l'anno, sono già tanti. Il lavoro che hanno fatto questi ragazzi, che abbiamo fatto, è stato eccezionale. Mentre per quanto riguarda le tappe fondamentali per i Playoff, penso che la vittoria casalinga con Mantova e andare a vincere a Bologna, in un campo così difficile, siano state delel vittorie decisive per il nostro futuro. Certo, poi abbiamo fatto 11-4 nel girone di ritorno... con una striscia così positiva saremmo primi in classifica!».

Potete arrivare in fondo in questa post-season? C'è qualche squadra che teme particolarmente?
«Penso che per i giovani che abbiamo sia già difficile di per sè affrontare un intero campionato, figuriamoci dei Playoff. I conti dovremo farli su noi stessi, non sulle altre. Penso che i Playoff siano una cosa bellissima, soprattutto per la città. Siamo una squadra che sta molto bene e siamo temuti dalle altre. In un campionato così comunque, con gironi diversi, ci si conosce meno. Una squadra del nostro girone, la conosci bene perchè ci hai giocato due volte, ma così non sai chi vai ad affrontare, non sai come hanno lavorato in nove mesi. Sicuramente c'è voglia di andare avanti, molto avanti».

Cosa l'ha spinta davvero a venire qui?
«L'anno scorso la proposta di Trieste è arrivata in un momento perfetto: ero stufo della Serie A, a 36 anni avevo altre idee. Ad esempio mi dava fastidio arrivare ad allenamento e vedere gente che non si allenava o non aveva voglia di farlo. Giocatori che si credevano chissà chi solo per aver segnato magari quindici punti la partita prima. Roba che quindici punti in Serie A, in questi anni, sono una cosa ridicola. Quindici punti oggi, paragonati alla nostra Serie A di 10-15 anni fa, fanno ridere. Volevo tornare a casa, volevo diventare un punto di riferimento per i più giovani, volevo dare più importanza a tante altre cose. Il mio obiettivo era quello di diventare un esempio in campo, negli allenamenti e anche nei campetti con i ragazzini. Volevo mettermi in gioco a Trieste, era una sfida per me. Ora posso dire di essere orgoglioso, prima la mia carriera non poteva considerarsi completa, ora lo è».

Ha da poco compiuto 36 anni, dunque mi sembra lecito chiederle se chiuderà qui la carriera oppure no. Rimarrebbe volentieri a lungo  a Trieste?
«Ho un altro anno di contratto, dunque almeno una stagione ma penso proprio di rimanere anche quella dopo e magari anche l'altra ancora. Quando sono venuto qui non c'era lo sposnor, la squadra era stata rinnovata per 8/10 ed il rapporto andava costruito. Dovevamo conoscerci tutti col passare dei mesi. Essendo triestino, mi vedo ancora qui e resterò fino a quando capirò di poter ancora dare davvero qualcosa alla squadra, qualcosa di positivo».

Ci dica la sua opinione sulla faticosa salvezza conquistata da Pesaro, sua ex squadra...
«Si sono salvati con una giornata di anticipo, quindi non hanno faticato così tanto. Pesaro è una società sana che fa le cose per bene. Sono contento che siano rimasti in A, sono felice sia salvata. Quest'anno sono stati bravi e fortunati nel prendere un campione come Daye, un talento così -a stagione in corso- penso abbia fatto la differenza per la salvezza. Senza di lui sarebbe stata dura, come qualità di roster mi sembrava avessero qualcosa in meno delle altre. Che poi anche due anni fa, quando c'ero io, ci siamo salvati vincendone tre su tre con quattro rookies e con gente che poi non ha più giocato a basket».

Curando il blog di Daniele Cavaliero (migliore amico di Andrea, ndr), il capitano di Varese mi ha parlato più volte della vostra splendida amicizia...
"A proposito di Dani: spero che prima o poi faccia il mio stesso percorso e che venga qui a Trieste. Sperando non lo faccia troppo tardi per godermelo un po' da compagno di squadra, ma la maglia con il numero dieci col c**o che gliela lascio! (ride)».

In conclusione, ci parli un po' del suo fumetto. Mi permetto di aggiungere che "Basket Case" è davvero un'idea geniale e coraggiosa!
«A fine maggio uscirà il numero due. Siamo molto contenti per come sono andate le cose con il primo numero, ci ha resi orgogliosi. Stiamo già lavorando per le prossime uscite, che ho già pensato come sviluppare. Felice per come è stato recepito dalla gente, ti posso anticipare che ci saranno diverse inzizattive anche per il secondo numero, proprio come per il primo. L'obiettivo era portare il basket di strada alla ribalta, legarlo a storie vere con problematiche che possono avere i ragazzini. Non volevamo parlare solo di chi vince sempre, nella vita e nello sport non sempre è così. In Italia, non c'era un prodotto così. Penso sia un'idea bella e coraggiosa. Sia io che la casa editrice siamo stati molto coraggiosi. La cosa bella è stata avere un'idea, per poi vederla concretizzarsi. La prima volta che ho avuto il fumetto fra le mani, è stata un'emozione bellissima».

Ringraziamo Andrea Pecile e la Pallacanestro Trieste per la grandissima disponibilità, augurando ad entrambi un finale di stagione roseo.