Le donne non hanno diritto né dovere di migliorare il basket femminile?

11.09.2016 15:35 di  Umberto De Santis  Twitter:    vedi letture
Le donne non hanno diritto né dovere di migliorare il basket femminile?

Ah, le donne! C'è una bellissima pagina Facebook "non facciamo morire il movimento del basket femminile", che nel nome è già un programma, e che evidentemente al Ministro per le Pari Opportunità Maria Elena Boschi non interessa, come non interessa al presidente FIP Gianni Petrucci e altrettanto al nuovo presidente della pallacanestro femminile Massimo Protani. LBF ha nominato nuovi presidente e consiglio direttivo, dove le cariche sono state assegnate, come tutti hanno potuto leggere (qui), tutte a candidati uomini. Addirittura, nel curriculum vitae del neo presidente votato con percentuali bulgare (95%) ci si vanta di un impegno trentennale a favore della pallacanestro femminile. Visti gli attuali risultati, non ci sembra ci sia nulla di cui vantarsi. Manca appeal, visibilità, risorse, capacità di reclutamento - e senza che qualche isola felice esistente abbia a metterci il broncio.

La Federbasket, secondo una denuncia fatta da La Repubblica (qui) concede premi dimezzati alle squadre femminili, rispetto alle maschili. Non è solo una realtà del basket, questa misoginia è diffusa in tutti gli sport. Ma torniamo nel recinto di casa nostra: le donne italiane del basket non contano nulla nelle decisioni che le riguardano e questa è la sostanza del discorso. Non sta troppo meglio il volley femminile, che nonostante la partecipazione alle Olimpiadi nel Consiglio federale della FIPAV ha ben una componente in quota "Consiglieri atlete"! La mancanza di donne al di fuori del basket giocato come dirigenti e finanche giornaliste capaci di raccontare il nostro sport al femminile è un deficit culturale insanabile che ci riporta nelle retrovie dello sport. La WNBA, nata nel 1997, ha avuto due sole presidenti, due donne, Val Ackerman dal 1997 al 2005 e Donna Orender l'attuale. Impariamo da chi è più bravo di noi, subito. Il primo problema è nelle donne: sono pochissime quelle che si propongono, o che rispondono alla chiamata. La maternità è importante, una volta chiuso con l'attività agonistica. Ma davvero può cancellare quello che si è state e che si può offrire in contributo per far crescere il basket femminile per davvero? O davvero ha ragione il presidente CONI Malagò che invoca una legge per le quote rosa che costringa gli uomini a cambiare registro?