"Gigio On Tour", il blog di Luigi Gresta #1: «Chiamatemi coach»

01.02.2017 18:39 di Alessandro Palermo   vedi letture
A destra, Luigi detto 'Gigio'
A destra, Luigi detto 'Gigio'

Ciao a tutti i lettori. Eccomi qua a scrivere le prime righe di questo blog che la redazione di Pianetabasket.com mi ha chiesto di curare. Anzitutto desidero ringraziare il Direttore che ha pensato a me: mi onora e gratifica pensare che i lettori possano essere interessati a curiosare su ciò che sono le mie idee, le mie esperienze, e comunque le mie riflessioni nel senso più ampio del termine.

UN COACH RESTA UN COACH
In questo anno o poco più sono accadute molte cose nella mia vita, sia dentro che fuori dal campo, che mi hanno spinto a smettere di allenare. Una decisione che più volte ho descritto come sofferta, presa però con la consapevolezza che il cuore non voleva scappare da ciò che più di ogni altra cosa amo fare: allenare. Ho pensato, dopo la negativa esperienza a Matera, che per me non ci fosse più posto nel basket che volevo vivere. Sia ben chiaro: Matera è una città magnifica, con una tifoseria amica che mi ha sempre sostenuto; la proprietà del club, in particolare il Presidente Lo Russo ed il suo vice Sassone, è sempre stata correttissima nei miei confronti. Dopo essermi messo in discussione ed aver veduta ribadita la fiducia in me, non avrei mai voluto lasciare la Città dei Sassi, ma avvennero, di lì a poco, fatti che mi obbligarono a farlo, purtroppo. Presi quindi la decisione di smettere. Magari qualche lettore dirà: “Grazie al cielo”. Ci sta. Però chi diventa coach sa che coach rimarrà per sempre, e il desiderio di scendere in campo per una sfida non abbandonerà mai la testa. Puoi ricoprire qualsiasi altro ruolo, nel basket o anche fuori dal basket. Ma se sei stato veramente un coach, un coach resterai per sempre. L’indomani della decisione presa, ho avuto la fortuna di poter cominciare a lavorare per quella che da sempre reputo l’agenzia di giocatori che ha fatto storia nel nostro mondo per correttezza, competenza e capacità: Interperformances. Luciano e Manuel Capicchioni mi hanno accolto all’interno degli uffici di San Marino con la fiducia e la stima che in pochi, fino a quel momento, mi avevano donato. Una fiducia e stima tale l’avevo sperimentata nel mio periodo avellinese, quando a dirigere il Club irpino c’era il vulcanico Menotti. Sentirsi stimati, apprezzati è sempre stato per me il carburante vitale del il mio agire; penso che lo sia per molta gente al mondo. Quando sono negli uffici di Interperformances mi accorgo da subito che ragiono ancora da coach, forse anche troppo. E come me ne rendo conto io, se ne rendono conto anche tutte le altre splendide persone con cui condivido il lavoro negli uffici di Guardicciolo. Questo ruolo mi piace, mi regala soddisfazioni ma, come detto sopra, un coach rimane un coach. Guardavo partite pensando a come avrei fatto io; assistevo ad allenamenti con la positiva (e non deleteria) invidia nei confronti del collega che lo conduceva. Insomma, quel tarlo nella testa era più vivo che mai. Una persona speciale spesso si rivolgeva a me dicendomi: “Ricordati che sei un coach, e lì dentro ti vedo vivo. Quello devi fare!”. La quotidianità scorreva bene fino a quando eventi esterni avvenuti poco prima di Natale mi fecero sbilanciare con Luciano. Gli dissi chiaramente: “Luciano, se pensi che possa esserti utile come coach da qualche parte, io ci sono”. Trascorsero solo pochi giorni e Lucky mi offrì la possibilità di venire qui a Vienna, in un Club controllato dall’agenzia, ad allenare.

FROM AUSTRIA WITH LOVE
Qui ai Lions ci sono certi giovani giocatori su cui Interperformances punta. Questo è stato per me l’ennesimo attestato di stima. Non è riuscito a terminare la frase che gli avevo già detto di sì. Le cose da coach qui in Austria stanno andando molto bene. La squadra ha ricominciato a vincere. Sento l’affetto e la stima della gente, ma in particolare dei giocatori. Erano successe troppe cose sia fuori che dentro il campo che mi avevano portato a non credere più in me stesso come un tempo. Un allenatore ha sempre dubbi e si mette sempre in gioco. Questi dubbi non può e non deve mostrarli perché viviamo in un ambiente ed in una società dove i dubbi appartengono ai deboli, mentre chi è sempre convinto di sé ed ha solo certezze è il vero superman. Non è così. Mi serviva questa iniezione di autostima; la sto ricevendo. Ecco perché sono tornato, non so per quanto, a fare il mestiere più bello del mondo. Citando l’Antonello nazionale, nella vita, come nello sport “Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano”.

Luigi Gresta,
Blog a cura di Alessandro Palermo