Il Mago che vuole incantare la NBA

31.12.2010 11:21 di  Matteo Marrello   vedi letture
Fonte: Tuttosport
Andrea Bargnani
Andrea Bargnani

Andrea Bargnani sogna l'All Star Game e i numeri gli danno ragione. Il Mago vorrebbe pure i playoff Nba, spera soprattutto che signora sfortuna si dimentichi dei Toronto Raptors. Anche lui è ai box. Nel frattempo immagina il 2011 alle porte e parla di Italia e di cosa bisognerebbe fare per il rilancio. E' il suo modo per augurarsi e augurare buon anno.


Ci dica Bargnani, come va l'infortunio?
«Mi sottopongo a fisioterapia. E' un piccolo strappo al polpaccio, della stessa gamba in cui ho avuto noie al ginocchio e alla caviglia. Si valuta giorno per giorno».
 


L'All’ Star Game non è un sogno»
«E' un sogno, invece, ma non ci penso con ossessione. Sono il centro che segna di più ad Est. Certo Howard ha più impatto difensivo e soprattutto a rimbalzo. Però ci starebbe. E' difficile, dipende pure dai risultati di squadra. Io continuo a lavorare per arrivarci, prima o poi, se non quest'anno».


Ecco, Toronto. Avete anche cambiato qualche pedina e pare funzioni.
«Sì, ma nel successo a Dallas ne mancavano 6 e Kleiza è stato espulso. Bayliss, comunque, è un buon ingaggio. E giovane».


Ha pensato a come racconterà ai nipotini di quella volta che ne ha messi 41?
«Beh, confido di poter raccontare pure altro, più importante. Comunque è vero, 41 sono tanti e non li avevo segnati nemmeno a livello giovanile. Subito dopo ho pensato a Kobe Bryant che ne ha fatti 81 e -davvero - non capisco come».


Ma di là sanno qualcosa del basket italiano ed europeo?
«No, ad eccezione degli osservatori, di qualche dirigente curioso e attento. I giocatori Nba non ne sanno nulla. E' come se in Italia conosceste il campionato iraniano. Sanno che il calcio è il nostro sport. Però, salvo qualche isola come Toronto, il football non interessa granché se non ci sono le nazionali. Piuttosto Espn trasmette una gara di freccette. E comunque è un problema generale. Quando chiedo di Valentino Rossi, pochissimi rispondono».


Un mondo a parte. Nel nostro calcio s'è giocato per anni senza contratto collettivo. Voi il prossimo anno rischiate di non toccare il campo...
«E' una mentalità diversa: qui i proprietari guadagnano, ma vogliono ricavare ancora di più. Nemmeno ipotizzano un passivo. Su questo discutiamo. Spero che si trovi in extremis un accordo. Al momento non si parla. Nel lockout perderanno tutti. Compresi i giocatori sotto contratto, perché se salti 20 partite per serrata - ad esempio - non sono pagati 20 ottandueesimi. Ci sono atleti che senza stipendio, per quanto lauto, vanno in crisi. Non possono aspettare. E il rischio è che alla fine si sciolga l'assogiocatori e si ricominci».


Tra le tante iniziative Nba, quali consiglierebbe al movimento italiano per promuovere meglio il gioco?
«A parte la qualità dei giocatori, irraggiungibile, tutto quanto viene fatto per ciò che ruota attorno al basket. Pubblicità, marketing, persino il montaggio degli highlights, la cura dei siti internet, sono a livello ben più alto. E la promozione, l'attenzione alle cause sociali. La prima cosa è mandare gli addetti ai lavori qui, due-tre mesi. Che studino e poi portino l'esperienza nelle loro realtà».


Un aspetto tecnico, invece, da esportare.
«Mi piace la possibilità di chiamare time out da parte dei giocatori. Succede pure mentre cadi dopo aver conquistato palla Spettacolare e utile. Poi la linea da tre a 7,24. Essere passati alla via di mezzo, per me, è una cavoiata pazzesca».


E dalla Fiba cosa importerebbe nella Nba?
«Non lo vorrei, ora, ma mi rendo conto che la valutazione dell'infrazione di passi sia troppo elastica, qui E un po' diseducativa per i giovani».


Al movimento italiano serve davvero il successo della Nazionale, o bisognerebbe valutare meglio le vostre imprese?
«Mah, quando siamo in Nazionale noi, abbiamo tantissimo spazio mediatico. Servirebbe allora un risultato in azzurro, a patto che sia sfruttato per davvero. Non come in passato»


Nel frattempo le tv generaliste non si occupano di lei, Gallinari e Belinelli. E' un problema.
«Abbiamo uno svantaggio, quando giochiamo restiamo in America. Se segno 41 punti, il giorno dopo non posso fare il giro delle tv e dei giornali. Veniamo d'estate, il momento meno caldo per l'informazione».


Se diventasse presidente Fip, il suo primo atto sarebbe?
«Non posso immaginarlo. E' un ruolo politico e non mi ci vedo. Mentre mi interesserebbe molto diventare un manager. Mi piace quel lavoro».


Polemica del momento in Italia: la seconda retroces- sione evitata pagando. Non sarebbe l'ora di cancellarle, in A?
«Non credo che il movimento sia pronto, perché bisognerebbe studiare tutto nei minimi dettagli e non noto questa capacità analitica. Ad esempio bisognerebbe incentivare gli altri campionati perché nessuno spenderebbe più, da B in giù. E quanti giocatori e lavoratori delle serie minori resterebbero disoccupati? E peraltro manca un campionato giovanile. Ma una simile rivoluzione va preparata».


Segue la Serie A. Qualche giovane italiano interessante?
«Mancinelli ha talento, può diventare grande... Bando agli scherzi, sono contento per il rendimento di Datome, da quando è tornato. E di Hackett. Ma non sono giovani. D migliore in prospettiva, mi sembra Gentile».


Il più antipatico nella Nba?
«Reggie Evans da avversario. Privo di talento, fa di tutto per arrivare a ciò che vuole. Ma ora è mio compagno».


E i simpaticoni?
«Steve Nash è uno di rara disponibilità. Turkoglu è divertente. A Orlando si ritrova perché ha bisogno di stare bene in un posto e a Toronto non ha legato».


L'effetto dei big three a Miami? E del suo ex compagno Bosh in particolare?
«Li abbiamo affrontati quando erano giù. Sono cresciuti tantissimo. Me l'aspettavo, con quello che li hanno pagati...».


Ai playoff ci credete?
«Abbiamo un gennaio terribile e un febbraio buono. Di sicuro ci proviamo».

Piero Guerrini